Acquedotti scpa: chi ci guadagna?

Nelle ultime settimane, la società che gestisce il servizio idrico è balzata agli onori delle cronache per aver arbitrariamente aumentato, se non raddoppiato, le tariffe sull’acqua fornita ai cittadini.

Ma cos’è la Acquedotti scpa e chi c’è dietro di essa a prendere queste decisioni?

Acquedotti scpa è una società consortile a prevalente capitale pubblico, con un socio di maggioranza privato, la Ottogas srl, che detiene il 49% delle quote e il restante 51% in mano a 9 Comuni tra cui Orta di Atella. Quest’ultimo detiene, nella quota pubblica, il maggior numero di azioni con il 37,75%, essendo il nostro Comune promotore della costituzione della suddetta società nel 2001.

Ovviamente la Acquedotti non lavora solo ad Orta ma anche nei restanti 8 Comuni che hanno quote nella società e anche in questi Comuni si è fatto sentire il fenomeno “cartelle pazze” con lo spropositato aumento delle tariffe.

Quindi, questa società lavora come una normale Azienda privata, con un Consiglio di Amministrazione formato da membri dei Comuni con Presidente il delegato di Orta di Atella e un Amministratore Delegato deciso nei fatti dalla società privata. Si gestisce l’acqua come una merce, la si vende si guadagna e si ripartiscono gli utili.

A cosa vuole portare questo ragionamento? Ad una conclusione semplice.

Nella Acquedotti scpa sulla carta comandano i Comuni, il CdA è in mano ad esso, il Presidente del CdA è nominato dal Comune di Orta di Atella quindi le linee programmatiche che l’Amministratore Delegato deve perseguire le decidono i Comuni.
Sulla carta.

Ritornando all’aumento delle tariffe dovuto alla decisione della società di eliminare le fasce di consumo “minimo impegnato” questa risulta essere una decisione avallata coscientemente dalle “quote” pubbliche della Società.

Quindi delle due l’una:

  • o i Comuni, con Orta di Atella in testa, hanno ritenuto di dare queste linee programmatiche circa l’aumento delle tariffe e quindi questa è una decisione prettamente politica a cui l’Amministrazione deve dar conto e deve relazionare ai cittadini
  • o i Comuni in questa Società non contano niente quindi Acquedotti è gestita solo dalla Ottogas srl che ne decide le linee programmatiche. Allora quella che all’apparenza sembra essere una Società Mista a prevalenza di Capitale Pubblico, non è altro che un baraccone nato da un lato per mascherare l’assoluta gestione privata di un bene pubblico e dall’altro per assicurare ulteriori poltrone ai Comuni che di fatto possono contare sull’Assessorato “Acquedotti”.

Perché c’è da dire che questa società ha elargito compensi per il solo Consiglio di Amministrazione e per l’Amministratore Delegato nel 2015 per € 152.912,69 mentre nel 2014 i compensi per CdA, Management, Sindaci Revisori e Comitato Tecnico Consultivo sono stati € 237.560,00. Ora non è chiaro se nel 2015 i Sindaci Revisori e C.T.C. non hanno percepito indennizzi o semplicemente questi non sono stati pubblicati.

A questo punto la domanda è quasi scontata.

Chi ci guadagna dalla gestione del servizio da parte della Acquedotti scpa?

I cittadini certamente no, con le tariffe che in alcuni casi sfiorano i 2 €/mc e con una gestione idrica a dir poco approssimativa.

Cosa garantisce questa gestione privata che una gestione totalmente pubblica, come del resto chiesto dalla maggioranza dei cittadini italiani con un referendum, non possa garantire?

E qui la richiesta non è tecnica ma tutta politica e dalla politica, quindi dall’Amministrazione, pretendiamo una risposta.

Cosa c’è da difendere se il servizio è carente e le tariffe stellari? C’è almeno un tornaconto economico per l’Ente? O si difende solo il privilegio di qualche poltrona in più per qualche amico e qualche amico di qualche ex amico?

Noi la risposta la conosciamo, ma per una volta vorremmo che l’Amministrazione facesse il suo dovere e rispondesse a chi gli paga lo stipendio, ovvero i Cittadini.

Un ultimo e definitivo atto d’igiene politica: DIMETTETEVI

Non esiste una moralità pubblica e una moralità privata. La moralità è una sola, perbacco, e vale per tutte le manifestazioni della vita. E chi approfitta della politica per guadagnare poltrone o prebende non è un politico.
È un affarista, un disonesto.
— Sandro Pertini

Gli ultimi giorni hanno visto nuovamente Orta di Atella al centro della cronaca giudiziaria. Quello che emerge, in tutta la sua dirompente tragicità, è un disarmante degrado politico e morale, il quadro di un ceto politico ortese abituato alla commistione con zone grigie della società, se non del tutto asservito ad esse.

Fotografia che fa il paio con quella, tutta politica, che ci è stata regalata in occasione dell’ultimo NON consiglio comunale: una faida, una vergogna, uno schifo. In nome della più spudorata difesa delle rispettive posizioni e cariche abbiamo assistito ad un riprovevole balletto sulle macerie di questa città, un balletto che grida vendetta perché certifica, una volta di più, che chi amministra Orta di Atella ha perso completamente il senso della misura, della decenza, ed agisce ormai in esclusivo ossequio alle logiche della guerra tra bande. Il cittadino questo sconosciuto.

Le ultime dichiarazioni di Sergio Orsi nel processo GMC non restituiscono nessun nuovo elemento e purtroppo non rappresentano neanche minimamente il fondo che sicuramente ci dovremmo preparare a toccare nelle prossime settimane. Allo stesso tempo non ci interessa sottolineare o soffiare sul fuoco della situazione giudiziaria dei singoli, innocenti fino a prova contraria. Quello che a noi interessa è il quadro d’insieme, è l’aspetto etico, morale e dunque politico che esso ci offre.

Già sapevamo tutto, ci verrebbe da aggiungere usando una formula di pasoliniana memoria. Perché noi già sapevamo che ad Orta di Atella, da troppi anni ormai, il rispetto anche delle più elementari regole democratiche aveva ceduto il passo al saccheggio scellerato del territorio; già sapevamo che il vassallaggio verso Angelo Brancaccio, praticato senza posa da una fetta consistente della popolazione ortese, politici e non solo, era il frutto calcolato di una complicità interessata; già sapevamo che, ad Orta di Atella, un’etica sana da applicare alla politica era stata sacrificata da tempo per far posto all’uso privatistico degli spazi pubblici. Detto altrimenti, già sapevamo che la nostra cittadina è stata un’incubatrice emblematica di molti di quei mali sistemici che, molto più in generale, riguardano il “fare politica” oggi: affarismo spregiudicato, clientelismo ramificato, consociativismo conservativo. Tutto da verificare, tutto da prendere con le molle, lo abbiamo detto e lo ripetiamo, molto di quello che sta venendo in superficie non avrà neanche rilevanza penale, ma è indiscutibile che scava un solco e spinge ad assunzioni di responsabilità politiche che riteniamo che non possano più essere rifuggite.

In virtù di questa consapevolezza, il Collettivo Città Visibile chiede le immediate dimissioni di tutti coloro che, organici alla classe dirigente che ha amministrato negli ultimi decenni, ricoprono tuttora cariche politiche ed amministrative. Sulla base di responsabilità politiche incontrovertibili, al netto delle eventuali responsabilità giudiziarie, pensiamo che non sia sufficiente e anzi riduttivo chiudere il conto con vent’anni di devastazione politica e morale della nostra città con l’interdizione dai pubblici uffici di Angelo Brancaccio; noi chiediamo una sorta di interdizione volontaria per tutti coloro che hanno condiviso e alimentato quella stagione politica; per tutti coloro che per vent’anni hanno fatto in modo alternato da “servi sciocchi” a Brancaccio e oggi si nascondono dietro ad imbarazzanti distinguo e si riciclano invocando una fantomatica discontinuità amministrativa. Ma anche per quei volti nuovi che a lui debbono la loro fortuna politica e oggi si atteggiano da oppositori.

Orta di Atella non merita tutto questo fango, non merita un’amministrazione nei fatti commissariata e lo diciamo anche a chi ha gioito, tra i banchi non solo della maggioranza ma anche dell’opposizione, alla notizia del mancato scioglimento da parte del Ministero dell’Interno. Nani politici o semplicemente in malafede non vedono che Orta di Atella è commissariata di fatto; ad Orta di Atella è già impossibile fare l’ordinaria amministrazione, anche reperire la documentazione è stato un problema per l’Organo Straordinario di Liquidazione che nella nota del 2 marzo chiede una proroga al Ministero degli Interni anche in virtù di questo, perché, testualmente, “l’ente è sottoposto a varie ispezioni ministeriali”. In pratica, al Comune c’è la fila, esiste già un commissariamento oneroso dove l’unico atto politico è il pagamento degli indennizzi a fine mese.

Le dimissioni del Sindaco, del vicesindaco e della giunta, come ultimo e definitivo atto di igiene politica di chi ha calpestato qualsiasi concetto di decenza, di dignità, di etica. D’altra parte aveva ragione Borges quando diceva che “forse l’etica è una scienza scomparsa dal mondo intero. Non fa niente, dovremo inventarla un’altra volta”.

Si, dovremo inventare una nuova etica pubblica.

Noi, non voi.

Disamistade – Breve storia di un Non Consiglio Comunale

Poteva essere il Consiglio Comunale dove si discuteva del problema della raccolta rifiuti, un’occasione per spiegare, illustrare responsabilità, capire il percorso che porta un Comune a lasciare sistematicamente dei lavoratori senza stipendio e i cittadini con montagne di spazzatura sull’uscio.

Poteva essere il Consiglio Comunale per metterci la faccia di fronte alla grossolana figura politica e all’approsimativismo dirigenziale che ha portato al sequestro di due auto della Polizia Municipale perchè prive del tagliando assicurativo.

Poteva essere il Consiglio Comunale dell’orgoglio per qualcuno, dopo le dichiarazioni di Sergio Orsi il quale afferma di aver dato una tangente di € 10.000 ad un assessore di Orta di Atella perché lo favorisse negli affari.

Poteva essere il Consiglio Comunale del cambio di passo, della programmazione, dell’apertura della Casa Comunale ai Cittadini, dell’istituzione delle Commissioni Consiliari con l’apporto di Cittadini e Associazioni.

Invece è stata la solita faida.

Una lotta di potere tra un Presidente del Consiglio Comunale che non vuole mollare la poltrona e un Sindaco a cui quella poltrona serve, come gli è servita quella dell’Acquedotti scpa, per blindare un amministrazione traballante che teme l’arrivo della bufera all’orizzonte.

La solita faida, disamistade l’avrebbe chiamata De André, una lotta di poltrone tra gente ormai fuori dal mondo uno spettacolo politico degradante e autoreferenziale di chi non si rende conto che la bufera è già arrivata.

E vennero i giorni dell’abbandono!

Il Parco Commerciale “Le Fabulae” di Orta di Atella sta per chiudere.

Ricordo che si respirava un aria di festa contagiosa il giorno della sua inaugurazione, era il dicembre 2006, poco prima di natale, e una fiumana di persone accorreva da ogni luogo per poter esserci nel giorno in cui un ennesimo tempio dell’effimero apriva le sue porte ai potenziali clienti.

Quelli erano i giorni dell’abbondanza per Orta di Atella e la nascita del Parco Commerciale della famiglia Damiano rappresentava solo l’aspetto più evidente e megalomane del delirio urbanistico coevo. Era come se un’ubriacatura collettiva avesse acriticamente coinvolto la quasi totalità della popolazione ortese, come se ognuno si sentisse il dovere di investire più un soldo di speranza sul futuro certamente radioso del proprio paese. Ricordo che pochi erano le persone che muovevano delle critiche sulla bontà dell’intera operazione. C’era chi faceva notare che le strade che conducevano al Fabulae erano totalmente inadeguate per ospitare un flusso di auto che, evidentemente, si voleva ingente. Pochissimi altri, i più temerari, osavano notare che siffatto progetto non era inserito in un più ampio piano commerciale ; che esso rappresentava solo il parto più evidente di quel coacervo di vizi sistemici che andavano (e vanno ancora) dalla cementificazione selvaggia del territorio alla affarismo speculativo, dalla gestione privatistica della cosa pubblica al clientelismo consociativo ; che così come era stato concepito, aveva scarse possibilità di durare nel tempo con delle ricadute positive sull’intera comunità ortese. perché i progetti imprenditoriali manchevoli di un’anima autenticamente socializzante durano fintanto che non si esaurisce la vena speculativa che li tiene in vita. Insomma, non mancava chi rifletteva sul fatto che, senza l’adozione degli adeguati strumenti urbanistici, un’impresa privata come “Il Fabulae” era inevitabilmente destinata a rimanere una cosa fine a se stessa, figlia esclusiva, oltre che delle legittime (?) mire affaristiche della famiglia Damiano, della bulimia tutta contemporanea di erigere sempre nuovi santuari per l’individuo consumatore. Con scarse possibilità di instaurare un legame virtuoso con il tessuto connettivo del paese.

Ma erano veramente pochi questi individui, derubricati facilmente come i soliti “sfigati” che sempre e comunque devono muovere delle critiche. perché la cosa veramente importante, certa, inopinabile per il senso comune dominante, era che Orta di Atella aveva il suo “centro commerciale, il suo personale Agorà consumistico, la sua piazza liquida. Il premio meritato per una comunità ampiamente resasi complice della commistione indifferenziata tra pubblico e privato.

Come è stato il rapporto tra Orta di Atella e “Le Fabulae”?

Aldilà di ogni considerazione soggettiva, frutto delle inclinazioni culturali di ognuno e quindi di modi diversi di interpretare le cose, credo si possa dire in maniera abbastanza oggettiva che, conclusosi il periodo di sbornia iniziale, rappresentato per la cittadinanza ortese dall’elemento “novità”, il Parco Commerciale ha instaurato con il paese un rapporto tutt’altro che dinamico, finendo per rimanere nella sostanza un corpo esterno ed estraneo. La colpa è da ascriversi certamente alla gestione dei proprietari, dimostratosi poco attrattivi come gestori di un centro commerciale il quale, proprio dell’attrazione continua di interessi economici diversificati e dal legame forte da stringersi con il milieu urbano circostante, deve fare i suoi fulcri vitali. D’altro canto, la famiglia Damiano, nel giro relativamente breve di pochi anni, da leader nazionale nel campo dell’elettronica di consumo, telefonia ed elettrodomestici (per la cronaca, si ricordi solo che il marchio Eldo era arrivato a dare il nome alla squadra di basket di Napoli militante in A1, e che il suo amministratore delegato, Onorato Damiano, si meritò un servizio dedicato sulle pagine economiche di “Repubblica”) ha visto progressivamente sgretolarsi la sua aurea attività.

Ma la colpa è anche di chi ha gestito la politica ad Orta di Atella negli ultimi decenni, incapaci di connettere la nascita di “Fabulae” all’interno di un più articolato piano commerciale teso, per esempio, al coinvolgimento fattivo di quanti più soggetti dell’imprenditoria commerciale del paese. Indifferenti, perché affatto lungimiranti evidentemente, all’evenienza concreta di ritrovarsi con un gigante di cartapesta in mezzo ad un deserto produttivo (e il vasto parcheggio che circonda il Parco Commerciale, sempre sgombro di auto, si presta benissimo a questa immagine). Si sono solo preoccupati di favorire espropri di terreni e di dare concessioni di comodo. Comportandosi, come quasi sempre, da soggetti privati quanto sono delle entità pubbliche.

“Le Fabulae” sta per chiudere si diceva all’inizio, la Conad, specialista nel comparto alimentare, è stato l’ultimo esercizio commerciale ad andarsene, in precedenza, l’uno dopo l’altro, tutti i negozi hanno dovuto abbassare la serrande. I motivi sono stati diversi, il principale si riferisce ai costi di gestione troppo elevati, sproporzionati rispetto al flusso di persone che di media visitano quotidianamente “Il Fabulae”, poi, la mancanza di quelle attività ludiche suscettibili di tenere viva l’attenzione intorno al centro commerciale, quindi la scarsa propensione dei proprietari ad investire nei fisiologici rinnovamenti della struttura.

Ma non è del tutto corretto dire che “Le Fabulae” chiude, perché esso risorgerà sotto altre forme. Una mega palestra dovrebbe essere ospitata al suo interno, si parla poi di un centro estetico, di piscine (?), si vocifera che sarà preso in gestione da una società milanese con il compito di rilanciarne le sorti. Insomma, le cosiddette voci di popolo si rincorrono per nutrire congetture di vario genere. Ma di questa storia rimangono i fatti, che sono come dei macigni quando sono ragionevolmente argomentati. Un fatto è che se il Fabulae doveva rappresentare la pietra angolare di un più ampio sviluppo commerciale del paese, esso ha fallito su tutta la linea. Un altro fatto è che la chiusura del Conad, l’esercizio commerciale che funzionava di più e meglio data la comodità degli orari che praticava, ha comportato il licenziamento immediato di oltre 120 lavoratori. Un altro fatto ancora e la totale latitanza della politica in questa storia. Gli amministratori ortesi, di ieri e di oggi (che poi è la stessa cosa), mai si sono preoccupati di valutare lo stato di salute del Parco Commerciale, assistendo indifferenti al suo progressivo decadimento. Ne tanto meno si sono posti il problema di concertare una soluzione fattibile per evitare che circa settanta famiglie rimanessero senza uno stipendio su cui poter contare. Poco si poteva fare probabilmente, ma mostrarsi indifferenti verso ciò che ti succede dentro casa significa palesare poco interesse proprio verso ciò che ti dovrebbe principalmente, civilmente e doverosamente, interessare.

Dopo i giorni dell’abbondanza vennero quelli dell’abbandono, è la storia politico amministrativa di Orta di Atella degli ultimi due decenni almeno : indifferenza pubblica e interessi privati come facce di una stessa medaglia. E la nascita e decadenza del Parco Commerciale “Le Fabulae” ne rappresenta uno specchio fedele. Solo uno però.

Il calcio come una rivoluzione

Jongbloed Suurbier Rijsbergen, Haan Krol Jansen Van Hanegem Neeskens, Rep Cruijff Rensenbrink. Nessuna squadra ha impresso il suo marchio rivoluzionario alla storia del gioco del calcio quanto questa. Forse solo un’altra: Grosics Buzanski Lantos, Bozsik Lorant Zakarias Budai, Kocsis Hidegkuti Puskas Csibor. Due squadre che hanno cambiato il corso della storia, Ungheria 1952 e Olanda 1974.  L’Aranycsapat e l’Arancia Meccanica, Gustzav Sebes e Rinus Michels, Ferenc Puskas e Johan Cruijff. Entrambe incompiute, nel senso di non aver vinto la Coppa del Mondo pur essendo le squadre più forti delle rispettive epoche, ma entrambe terribilmente belle.

La leggenda dell’Aranycsapat si snodò attraverso sublimi dimostrazioni di calcio su ogni campo. Tra il 14 maggio 1950 (sconfitta in Austria per 3-5) e il luglio 1954 (sconfitta nella finale del Mondiale a opera dei tedeschi, 2-3), collezionò 29 vittorie e 3 pareggi su 32 partite con 143 gol fatti e 33 subiti. La stella della squadra era Puskas, ma Gustzav Sebes rivoluzionò lo stato di cose presente spostando Nandor Hidekguti dall’ala (dove giocava con ottimi risultati nell’MTK Budapest) al centro dell’attacco, centravanti arretrato, falso nueve si direbbe oggi. Non più il fromboliere statico d’area di rigore ma un formidabile apriscatole che, attraverso il “movimento organizzato” apriva le porte dell’area di rigore avversaria a Puskas, Kocsis e testina d’oro Csibor. Il mosaico di Sebes, che conteneva il germe di quello che poi sarebbe stato il calcio totale di Michels, prese corpo a poco a poco incantando il mondo alle Olimpiadi di Helsinki del 1952. Vittorio Pozzo commentò nell’occasione di non aver mai visto un calcio così spettacolare e la rivista tedesca “Kicker” scrisse che novanta minuti erano troppo pochi per un football così meraviglioso.

Vent’anni dopo dispiegava la sua forza dirompente l’Arancia Meccanica di Rinus Michels, quella del calcio totale, quella capace di incantare ed incapace di vincere le due finali mondiali del !974 e del 1978. Come l’Ungheria di Sebes, anche l’Olanda di Michels poteva contare su una struttura consolidata di calciatori sopra la media; Honved e MTK Budapest erano l’architrave dell’Aranycsapat, l’Ajax e il Feyenoord lo erano dell’Arancia Meccanica. La differenza era che mentre Sebes iniziò la sua rivoluzione in nazionale, Michels utilizzò proprio l’Ajax come luogo della sperimentazione. E che sperimentazione. A differenza dell’Olanda, infatti, l’Ajax fece incetta di trofei, nazionali e soprattutto internazionali, vincendo tre coppe dei campioni consecutive battendo nelle tre finali, dal ‘71 al ‘73 il Panathinaikos allenato proprio da Ferenc Puskas, l’Inter con due gol di Cruijff nonostante la marcatura di Oriali e la Juventus con la rete di Rep.

Cruijff, nonostante i piedi a papera e le caviglie fragili che gli avevano fatto saltare il militare, tanto nell’Ajax quanto nell’Olanda divenne l’emblema del calcio totale, vale a dire di quel sistema di gioco in cui un calciatore che si sposta dalla propria iniziale posizione è sostituito prontamente da un compagno, consentendo in tal modo alla squadra di mantenere una disposizione di gioco compatta ed efficace. In questo sistema fluido, nessun calciatore ha un ruolo fisso. Non l’anarchia, ma la perfetta combinazione tra il massimo grado di creatività e la necessaria esistenza dell’ordine, di una mappa di regole e valori strutturata ed organica. Un equilibrio che ha consegnato l’utopia di Michels alla storia del calcio, ma se vogliamo, in un certo senso, alla storia del cambiamento sociale. Interessante a questo proposito la teoria emersa qualche anno fa che ha voluto cogliere un legame tra la rivoluzione calcistica di Michels (che non era limitata al rettangolo di gioco ma investiva anche lo stile di vita dei giocatori, più libero e meno legato alle convenzioni sociali del periodo) e quella socio-culturale che in quegli anni il movimento dei Provo (dal francese provocateur) si proponeva di portare in Olanda. I Provo erano un gruppo anarco-surrealista che auspicava il rovesciamento delle istituzioni dell’epoca, reazionarie e repressive. Durarono poco, ma gettarono il germe di una certa “mentalità progressista” che poi ha attecchito successivamente. I Provo e l’Ajax, in particolare Cruijff, accomunati dunque dalla volontà di cambiare, ognuno nel suo campo d’azione, lo stato di cose presente. “La grande lezione che Johan Cruijff ci ha dato” scrisse il giornalista olandese Hubert Smeets (e lo riporta Alec Cordolcini in una sua pubblicazione sul calcio olandese), “è che nello sport, per raggiungere un obiettivo, è necessario combinare individualismo e collettivismo. In un certo senso è quello che predicavano i Provo negli anni sessanta riguardo la vita sociale. Poi però si sono persi: il collettivismo è sfociato nel comunismo, l’individualismo nell’edonismo. Solo Johan Cruijff è stato capace di bilanciare al meglio le due cose”.

Il calcio totale, verbo di Rinus Michels vedeva dunque in Cruijff il direttore sul campo. Fondamentali per la sua applicazione erano i concetti di spazio e creazione dello spazio. Bene ha spiegato la filosofia di Michels e soprattutto il ruolo centrale che dentro di essa aveva Cruijff il difensore dell’Ajax Barry Hulshoff:

“Discutevamo di spazio per tutto il tempo. Cruijff spiegava sempre dove i compagni avrebbero dovuto correre, dove rimanere fermi, dove non si sarebbero dovuti muovere. Si trattava di creare spazio ed entrare nello spazio. È una sorta di architettura sul campo. Parlavamo sempre di velocità della palla, spazio e tempo. Dove c’è più spazio? Dov’è il calciatore che ha più tempo a disposizione? È lì che dobbiamo giocare il pallone. Ogni giocatore doveva capire l’intera geometria di tutto il campo e il sistema nel suo complesso”.

 

Nel meccanismo quasi perfetto ideato da Michels, che chiaramente rivoluzionava i tradizionali concetti di gioco sui quali il calcio europeo fondava le sue certezze, Cruijff rappresentava il genio, il talento che sublimava il gioco collettivo, quella goccia di splendore che rubava l’occhio e consentiva di intravedere possibilità nuove, di vedere il gioco del calcio da un’altra prospettiva. Certo, l’Ajax e l’Olanda, come anni prima l’Ungheria di Sebes, erano squadre composte da grandi giocatori, ma è indiscutibile che le prime senza Cruijff, la seconda senza Puskas non sarebbero state la stessa cosa.

La genialità del singolo dentro lo spettacolo di un’idea di gioco totale, collettiva, dunque. Gianni Brera defini Cruijff “il Pelè bianco”; per tutti è stato il “profeta del gol”, ed in questa definizione risiede in un certo senso l’unicità del fuoriclasse. Si, perché sebbene giocasse da attaccante (prima di indossare, eternamente, il 14, aveva il 9 che poi prese nuovamente al Barcellona) Cruijff non può essere assimilato al centravanti classico e tantomeno ad una seconda punta che gioca in appoggio alla punta centrale, nonostante ciò i suoi numeri fanno impressione: 271 reti in 369 presenze con l’Ajax, 85 in 227 col Barcellona e 33 in 48 con l’Olanda.

Calciatore totale nel calcio totale, Cruijff possedeva tutto: tecnica, velocità, cambio di passo, personalità, carisma, capacità realizzativa ed un gesto tecnico, l’Het Cruijff Draai – la giravolta di Cruijff, vale a dire quella torsione su sé stesso, un’inversione di 180° effettuata toccando il pallone con l’interno del piede – che ha segnato un’epoca. il centrocampista svedese Jan Olsson, che marcò Cruijff durante il campionato mondiale di calcio del 1974 e subì la giravolta, affermò a tal proposito:

“Ho giocato per 18 anni nel calcio di alto livello e per diciassette volte con la nazionale svedese, ma quel momento contro Cruijff fu il momento di cui vado più fiero in tutta la mia carriera. Pensavo che avrei sicuramente recuperato il pallone, ma lui si prese gioco di me. Non mi sentii umiliato. Non avevo possibilità. Cruijff era un genio”. Uno stato d’animo simile a quello dello scozzese Gemmell, il quale dopo Scozia – Irlanda del Nord ad inizio anni ’70 raccontò a proposito della marcatura su George Best: “Non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi. Era come provare a catturare il vento. Ho cercato di fare ostruzione col corpo. Di farlo inciampare. Di prenderlo a calci. Non funzionava niente”.

Johan Cruijff e George Best appartengono alla stessa categoria, quella dei geni. Hanno rappresentato quanto di meglio il calcio europeo ha saputo produrre in tutta la sua storia. Genio e sregolatezza, molto più per Best a dire il vero, capacità di indurre al sogno e di superare il perimetro del rettangolo di gioco creando una prosecuzione della realtà attraverso l’induzione all’immaginazione. Chi ha visto giocare Cruijff e Best iniziava la partita svariate ore prima del fischio d’inizio, nell’immaginazione di quello che sarebbe potuto essere. Quanti ne scarterà Cruijff? Quanti tunnel farà Best? Proprio un tunnel lega i due geni: dopo aver fatto passare la palla sotto le gambe dell’olandese in Irlanda del Nord – Olanda del ‘76, Best gli disse: “tu sei il migliore al mondo, ma solo perché io non ho tempo”. Cruijff, da par suo, e in maniera più pragmatica, individuava nel matrimonio una spiegazione alla sua superiorità: “Non credo che ai nostri livelli sia meglio essere scapoli. Guardate George Best, è la dimostrazione che non puoi farcela senza una donna. Vai a farti una bevuta in un bar e sei circondato da gente che ti ama, ma lo fa perché sei famoso. Poi, una volta chiusa la porta di casa, senza una moglie e una famiglia resti solo con i tuoi problemi”. Tre volte Pallone d’Oro Cruijff, una volta Best; tre Coppa dei Campioni Cruijff, una Best. Best ne soffriva.

Non la sregolatezza di Best, ma un carattere fumantino quello sì, lo aveva anche Cruijff. Fu quello a portarlo al Barcellona. Dopo la terza Coppa dei Campioni, vinta da capitano nel 1973, al tramonto dell’epoca di Michels all’Ajax, lo spogliatoio decise che il capitano sarebbe stato eletto. All’Hotel De Lutte ci fu dunque una votazione e dall’urna non uscì il favorito Johan Cruijff bensì Piet Keizer. Il messaggio appare chiaro: Cruijff è il simbolo dell’Ajax ma non il leader dello spogliatoio. È la rottura, Cruijff chiama il suocero: “Telefona a Barcellona, io da qui me ne vado”. Categorico.

E a Barcellona inizia un’altra epopea, prima da giocatore poi da allenatore. I tifosi azulgrana lo ribattezzano “El Salvador”, ma oltre al campo, incide profondamente anche sul piano politico diventando il simbolo della resistenza anti-franchista. Arrivato in Catalogna dopo una lunga “guerra” tra Real Madrid e Barcellona, Cruijff non ebbe remore a dichiarare di aver scelto il Barcellona e non il Real perché mai avrebbe potuto giocare per una squadra associata a Francisco Franco. Nella memoria dei tifosi restano un 5-0 inflitto al Bernabeu all’odiato Real, un gol con una rovesciata di tacco quasi dalla linea di fondo contro l’Atletico, una Coppa di Spagna e una Liga spagnola da giocatore (dopo dodici anni di astinenza), quattro Liga, quattro Supercoppe di Spagna, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea da allenatore. Tuttavia più importante di tutto questo per i tifosi del Barcellona, è stata la scelta di chiamare il terzo figlio Jordi, in un’epoca in cui l’uso della lingua catalana era proibita dal regime spagnolo.

Johan Cruijff ha segnato un’epoca, anzi ha segnato in profondità la storia del gioco del calcio.

Morto un Johan Cruijff non se ne fa un altro. Il giocatore di calcio che, insieme a George Best e appena dietro a Diego Armando Maradona, ha rappresentato meglio la dimensione sublime, quasi metafisica, del calcio.

Cruijff sta al calcio come Marx sta alla filosofia, come Picasso alla pittura, come Mozart alla musica.

Tra mille anni se parlerà come fosse oggi.

Ambiente, politica, salute: la storia di Roberto Mancini a Orta di Atella

Io, morto per dovere” il libro sulla vera storia di Roberto Mancini, il poliziotto che ha scoperto la Terra dei Fuochi, che ha ispirato la fiction RAI con Giuseppe Fiorello “Io non mi arrendo” sarà al centro dell’incontro organizzato dal Collettivo Politico Culturale Città Visibile in programma per Sabato 02 Aprile dalle ore 17:30 presso la Sala Consiliare del Comune di Orta di Atella.

“Un iniziativa che va nel solco di quanto già organizzato dal nostro Collettivo” ha dichiarato il Presidente di Città Visibile Vincenzo Tosti “Il libro scritto da Nello Trocchia e Luca Ferrari sarà sia un modo per omaggiare una grande persona che molti di noi, attivisti in questi territori, hanno avuto l’onore di conoscere, sia un momento di riflessione e di denuncia, un pretesto per affrontare argomenti come la Terra dei Fuochi e di come la gestione di questa ecatombe ambientale e sanitaria sia stata affrontata con approssimazione e riluttanza non solo dal potere centrale ma anche dalle amministrazioni locali”.

Saranno presenti all’incontro uno dei due autori, Nello Trocchia, cronista per “Il Fatto Quotidiano, l’Espresso e La7 (La Gabbia), la vedova di Roberto Mancini, Monika Dobrowolska, Sandro Ruotolo firma di spessore del Giornalismo Italiano che dal maggio del 2015 vive sotto scorta dopo aver ricevuto minacce da Michele Zagaria, boss dei Casalesi, a causa delle sue inchieste sul traffico di rifiuti tossici in Campania e la giornalista del Corriere della Sera Amalia de Simone che modererà l’incontro.

Roberto Mancini era il poliziotto comunista che per primo si è messo sulle tracce dei veleni sversati nella terra dei fuochi. Già 20 anni fa, quando era nella Criminalpol, aveva scovato nomi e trame di un sistema criminale fatto di connivenze tra imprenditoria e camorra, politica e massoneria. I risultati di quell’inchiesta sono contenuti nelle sue informative rimaste a lungo chiuse nei cassetti della Procura Antimafia di Napoli. Roberto Mancini è morto il 30 Aprile 2014 per un tumore contratto durante i sopralluoghi sui terreni avvelenati di Gomorra. È stato riconosciuto dal Ministero dell’Interno come “vittima del dovere”, ma la sua speranza più grande è ancora viva: i suoi rapporti infatti stanno giocando un ruolo fondamentale nel processo contro Cipriano Chianese, l’ideatore dell’ecomafia, sotto accusa per disastro ambientale.

Il volume, nelle librerie dal 12 Febbraio, racconta la vita e le verità di Roberto Mancini attraverso le testimonianze dei familiari, dei suoi amici più cari, dei colleghi di quel periodo e dei suoi documenti d’indagine. Ma mette a nudo anche il silenzio delle istituzioni e l’assenza dello Stato. Roberto Mancini è stato stroncato dalla malattia, ma prima ancora lo hanno ucciso l’indifferenza e l’omertà. Se la sua battaglia umana e professionale fosse stata accolta prima si sarebbe potuto evitare il più grande inquinamento territoriale d’Italia. Il testo contiene anche una lettera di Mancini, che avrebbe dovuto essere l’incipit di un libro che aveva iniziato a scrivere.

Le gambe corte della legalità

Alfano, paladino dell’Antimafia, ha certificato che ad Orta di Atella non c’è (e probabilmente non c’è mai stata) alcuna anomalia democratica. Con una firma, più forte del classico colpo di spugna, ha cancellato mesi di lavoro della Commissione d’accesso. Da questo momento in poi, ogni cosa è normale e le decine di inchieste sul nostro paese, che settimanalmente lo fanno balzare agli onori delle cronache, non hanno intaccato in modo concreto, univoco e rilevante la sua vita amministrativa.

A quanto pare, aveva ragione chi ha fatto finta di niente, chi ha partecipato e ha fatto una campagna elettorale trattando il nostro come un paese normale; tuttavia, non aveva torto chi, per quanto ne dica Alfano, questa anomalia democratica la vedeva eccome.

Certamente non aveva torto chi chiedeva che il Ministero attendesse questo pronunciamento prima di indire nuove elezioni, magari perché quegli elementi di concretezza, univocità e rilevanza gli sembravano abbastanza palesi.

Tuttavia, oggi la nota ministeriale restituisce una verità giudiziaria chiara, per quanto assurda, e offre allo stesso tempo l’opportunità affinché i mille problemi di Orta di Atella tornino centrali. Si rompa l’attesa di chi aspettava che il Ministro facesse il suo dovere e si torni finalmente a valutare l’operato politico di un amministrazione, che se resiste alla prova scioglimento, rischia invece di non sopravvivere allo scioglimento politico della propria maggioranza.

Il nostro Collettivo non pensava che la cacciata dal palazzo per mano del prefetto fosse la soluzione a tutti i mali; certo, ce l’auguravamo. Pur essendo consapevoli da sempre che la rinascita di Orta di Atella passi attraverso la cacciata della vecchia politica dal palazzo per mano dei cittadini, pensavamo che un periodo di reset amministrativo, non condizionato da “cambiali” elettorali da onorare e interessi strani da tutelare, avrebbe fatto bene al nostro paese.

Perché di concreto, univoco e rilevante restano i palazzoni; l’assenza di servizi e di strutture scolastiche; le discariche, i roghi e la spazzatura che tra poco è destinata a restare nuovamente fuori i nostri portoni; il deficit finanziario e una struttura comunale messa alla gogna come modello di assenteismo.

Di concreto, univoco e rilevante resta l’esigenza di un cambiamento che mai come ora dove avere forti e solide basi politiche.

Non ci interessa delle eventuali implicazioni giudiziarie per questi signori.
Noi lavoriamo perchè costoro non vengano più votati. Lavoriamo per creare dal basso un’alternativa che riesca a mettersi alle spalle vent’anni di mala politica.

Al Ministro Alfano è bastata una semplice firma per cancellare mesi di lavoro della Commissione d’accesso; ma non gli basterebbe tutto l’inchiostro o la vernice del mondo per coprire lo scempio e gli sfregi che rovinano la faccia di Orta. Per quello servirebbe la Politica.

Un’altra Politica.

È finito il teatrino!

“Servizio trasporto disabili assente”;
“Banco Alimentare sospeso da 6 mesi”;
“Refezione scolastica che non parte”;
“Aule non a norma nel Centro Pastorale”;
“Stipendi non pagati ai dipendenti della raccolta rifiuti”.

Le motivazioni che hanno portato in questi mesi quattro esponenti della maggioranza a passare in minoranza (e non all’opposizione: opposizione è un’altra cosa…) sono davvero nobili, o meglio sarebbero stati nobili se queste persone fossero degli idealisti che credevano di essersi imbarcati in un’avventura elettorale con Pepe Muijca, salvo poi scoprire che il loro Sindaco altro non era che un novello Caligola.

Purtroppo questa purezza d’animo ai “4 dissociati” non riusciamo a riconoscerla, sia ben inteso non sul piano umano, ma politicamente. Loro sapevano cosa era il carrozzone elettorale che avevano deciso di abbracciare; l’assenza di una programmazione politica di ampio respiro era il cardine del loro programma. Chi ha sostenuto le liste del sindaco Mozzillo (salvo qualche riempilista inconsapevole) era ben cosciente che il loro ruolo altro non era che l’occupazione di un luogo di potere in conservazione di ciò che negli anni precedenti si era fatto: fare la guardia al Piano Urbanistico Comunale e mettere qualcosa a posto in attesa del Commissariamento o, addirittura, nell’attesa che in altri e alti livelli si lavorasse per scongiurare il commissariamento.

Lo stesso Sindaco Mozzillo, che probabilmente riteneva la sua avventura di più breve durata, ad un certo punto si sarà lasciato ingolosire dalla situazione. Egli infatti non ha perso tempo nel costruirsi intorno una cerchia politica che, nelle sue intenzioni, lo avrebbe dovuto accompagnare nel caso questo benedetto scioglimento non fosse arrivato e costruirsi una maggioranza che fosse risicata ma non più ricattabile dai cosidetti dissidenti. Così avrà pensato di poter pagare qualche cambiale elettorale e mandare qualche “pizzino” ai nuovi nemici politici paventando la cacciata della Pubbliservizi.

Ma davvero Orta ha tempo per questo imbarazzante teatrino?

Non sarebbe meglio che, invece delle motivazioni di facciata, questi signori (tutti) si decidessero di farci sapere la reale condizione del nostro Comune? Che queste persone ci facessero conoscere la situazione debitoria, ma anche la situazione strutturale che stiamo vivendo, dato che questa condizionerà la vita dei cittadini per i prossimi 20 anni?

Perché costoro non spiegano ai cittadini come funziona il ciclo virtuoso che dovrebbe portare alla costituzione dei soldi per retribuire i dipendenti della raccolta rifiuti e soprattutto, dove si inceppa questo circuito? C’erano fondi per la creazione di un Polo Scolastico e la ristrutturazione delle strutture scolastiche esistenti? Se sì, che fine hanno fatto questi soldi? Perchè il servizio di mensa scolastica non viene appaltato? Ci sono interessi che non conosciamo?

Questo tipo di denuncia avrebbe fatto dei quattro consiglieri dissociati dal Sindaco, esponenti dell’opposizione e non semplici consiglieri che per calcolo politico passano dalla maggioranza alla minoranza.

Questo tipo di denuncia avrebbe fatto del Sindaco un amministratore con la schiena dritta, che non accetta i dettami di vecchi politici nell’ombra e non un delfino che sogna di diventare squalo.

Questo tipo di denuncia avrebbe fatto di questa Consiliatura un referente decente col quale cominciare a fare un discorso politico; invece, resta la cosa per cui è nata, ovvero il presidio del potere e la tutela degli interessi di pochi. Una perdita di tempo per i cittadini, non certo per loro. Una grande e costosa perdita di tempo.

Orta non è una discarica!

Orta ad oggi è un paese costellato da piccole e grandi discariche; suoli dove viene sversato e a volte bruciato di tutto, soprattutto scarti di lavorazione industriale, pellami e amianto. I componenti del Collettivo “Città Visibile”, già prima che questo nascesse, a vario titolo hanno intrapreso una lotta ferrea contro lo sversamento ed i roghi di rifiuti tossici industriali. Lo hanno fatto riuniti in Associazioni come il Laboratorio di Idee “Massimo Stanzione” e, a titolo personale, nei vari comitati che nell’Agro Atellano si sono costituiti per combattere il fenomeno.

Da sempre la prima preoccupazione di chi conosce il fenomeno degli sversamenti e dei roghi è stata quello di mappare il territorio.

Tuttavia, prima di capire “dove” sono i luoghi oggetti di questa pratica, la frequenza degli incendi, il tipo di materiale presente e il suo grado di nocività, di conoscere il nemico, di studiare e capire il fenomeno, il muro più duro da abbattere è stato trovato in seno alle amministrazioni locali. Nessuna amministrazione nel territorio atellano, infatti, ha mai voluto farsi carico dell’onere di mappare ciò che viene sversato nel proprio territorio. C’è stata quasi sempre una corsa a minimizzare o addirittura a negare il problema, pur di avere alibi per non affrontarlo.

Una delle poche cose decenti che è riuscito a fare il Governo Regionale di Caldoro, sotto la spinta del Coordinamento Comitati Fuochi, è stata la legge 20 dove, tra le disposizioni urgenti, indica ai comuni l’istituzione del registro delle aree interessate da abbandono e rogo di rifiuti, finalizzato ad assicurare una maggiore tutela della salute dei residenti e del patrimonio ambientale e paesaggistico. Il Comune di Orta di Atella, dobbiamo darne atto, seguendo i dettami della Legge Regionale 20/2013, ha messo mano a questo registro.

Tuttavia, la cosa che salta maggiormente agli occhi, è la mancanza nell’ultimo censimento relativo al II semestre 2015 dell’area Eurocompost, area che compare nel censimento precedente relativo al I e II semestre 2013 (dove, nelle note, si evidenzia un ordinanza di sequestro) per poi sparire magicamente. Vogliamo ricordare che l’area è ancora oggi una vera e propria bomba ecologica piazzata a poche centinaia di metri dalle abitazioni e riteniamo assolutamente d’obbligo intervenire con la massima urgenza. Le ordinanze di sequestro in caso di pericolo per la popolazione non liberano l’amministrazione dalle responsabilita. Inoltre, mancano nel registro la località Santo Stefano e la località Cinquevie, dove si segnala una massiccia presenza di amianto.

Ovviamente, non c’è stato un vero lavoro sul campo da parte dell’amministrazione, ma più un collage di vecchie e nuove segnalazioni. Il lavoro sul campo è toccato al nostro Collettivo e noi certamente non ci siamo tirati indietro; d’altronde, non abbiamo fatto altro che continuare a fare quello che facciamo da anni: DENUNCIARE! Oltre alla denuncia però, abbiamo indicato anche da dove attingere per recuperare i fondi messi a disposizione per la Terra dei Fuochi, fondi a cui altri Comuni hanno già attinto. Così, con protocollo 15788 del 29/12/2015 abbiamo documentato le nostre osservazioni per il Registro delle Aree Abbandonate interessate a sversamenti di rifiuti e roghi.

Ci corre l’obbligo morale sottolineare come il problema degli sversamenti sia latitato dall’agenda istituzionale delle ultime amministrazioni, l’Assessorato all’Ambiente si è smosso in rari casi e solo sotto forti spinte da parte di Comitati e Associazioni, non c’è stata mai volontà di affrontare la cosa in modo strutturale anzi a tratti l’attivismo ambientalista è stato più volte diffamato e osteggiato. Da sottolineare che la quasi totalità delle aree censite sono pubbliche, elemento importante in quanto evidenzia la totale responsabilità delle passate amministrazioni, le quali sono state manchevoli ed omissive nella misura in cui hanno consentito che le stesse fossero totalmente abbandonate e continuamente attenzionate da sversamenti. Noi ribadiamo che la prevenzione è importante in quanto in termini di spesa può far risparmiare tanto denaro alle casse pubbliche: ripulire sia l’area PIP che Giardino Ciardulli ha avuto un costo notevole per la comunità, tra l’altro, zone tutto’oggi ancora abbandonate, mai rifunzionalizzate e controllate.

Pensiamo che la legge Regionale 20/2013, nei suoi grandi limiti, offra una possibilità di azione alle amministrazioni, mettendo a disposizione anche dei fondi per l’emergenza. Inutile dire che noi continueremo a vigilare anche sul modo in cui eventualmente verranno usati questi fondi; ma ripeteremo fino alla nausea che, se queste aree non saranno rifunzionalizzate, avranno ancora un futuro da discarica abusiva, come nel caso dell’Area PIP, ripulita dopo insistenti denunce e servizi televisivi che ne hanno documentato il degrado.

Ricapitolando, di queste piccole e grandi discariche ne abbiamo capito la collocazione, abbiamo indicato la tipologia dei rifiuti presenti e indicato i modi per accedere ai fondi per iniziare le bonifiche.

Manca solo la volontà politica: su questo possiamo fare ancora poco. Per ora.

Breve ma accorata lettera agli ortesi

Quante ve ne hanno dette, e quante ve ne hanno fatte!

La storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. Orta fa eccezione. Vi hanno spiegato che la Storia si ripete ogni volta come fosse la prima, in un’eterna coazione a ripetere.

Quante ve ne hanno dette.

Vi hanno raccontato della capacità che avevano di trasformare in oro qualunque cosa toccassero, novelli Re Mida.

Ma a Orta l’oro è cemento armato e può capitare di girare nelle nuove strade della nuova città senza vedere la luce del sole.

Vi hanno raccontato della Primavera ortese, ma Orta non è Praga e la primavera è diventata un lungo inverno bulgaro. Vi hanno raccontato che ognuno avrebbe pensato con la propria testa ma invece è tutto un pullulare di vassalli e cortigiani.

Vi hanno raccontato la favola dello sviluppo, della crescita per tutti, vi hanno raccontato di cinema e teatri, del Polo Scolastico ma poi si sono ingrossate la pancia e le tasche degli amici degli amici, e la favola è diventata un’incubo.

Ve ne hanno raccontate tante.

Ma ve ne racconteranno ancora.

Vi racconteranno che questa volta sì, è la volta buona. Che le sorti della vostra città saranno magnifiche e progressive; che tutti avranno modo di investire i loro risparmi nel furore dell’età dell’oro ortese… ah… no, anche questo ve lo hanno già raccontato.

Vi racconteranno allora che non c’è più la destra, e soprattutto che non c’è più la sinistra; che non c’è più bisogno delle ideologie perché tutti insieme ce la possiamo fare, ma sono gli stessi che vi chiederanno di scordarvi del passato perché, si sa, il passato è una terra straniera.

Verranno a chiedervi del vostro amore.

Rispondetegli che si chiama LIBERTÀ.