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Fotografia dalla polvere

In merito alla riorganizzazione degli spazi urbani, una tendenza che ha preso corpo da diversi anni è stata quella di creare in spazi più periferici rispetto al centro cittadino luoghi variamenti adibiti allo svago e al commercio. Soprattutto nei centri urbani di piccole e medie dimensioni, questa tendenza urbanistica ha prodotto come effetto la lenta ma irreversibile “desertificazione” dei centri storici.

Questo è un fenomeno molto generale, che ha la sua ragion d’essere nella matrice anonima e globalizzante insieme del liberismo economico. Fenomeno che ha indotto un sociologo come Marc Augé a parlare della proliferazione senza sosta dei “non luoghi”, ovvero, di spazi urbani senza un’identità riconosciuta e riconoscibile, luoghi frequentati indifferentemente da chiunque ma non abitati da nessuno. Ora, se a questo fenomeno globale aggiungiamo la cattiva gestione degli spazi urbani che nelle fattispecie concrete avviene per opera della (mala)politica, allora diventa quasi inevitabile che all’erosione del vitalismo di un centro storico si associ un suo totale abbandono. Detto altrimenti, se il primo è un effetto iscritto, per così dire, “nello spirito dei tempi”, il secondo è una causa che fa del degrado urbano perdurante la fotografia inoppugnabile di una generale indifferenza da parte dei pubblici poteri.

Da questo quadro generale, possiamo ricavare le giuste motivazioni per declinare nella fattispecie concreta il ragionamento astratto fin qui svolto. Parlare quindi di Orta di Atella, e di quanto il suo centro cittadino sia da anni votato all’incuria più totale. Il crollo della facciata di un palazzo nella centralissima via Pasquale Migliaccio, assurge suo malgrado a simbolo di questa incuria perdurante.

Perché, la grande nuvola di polvere che martedì mattina ha letteralmente invaso il centro storico del paese, e che solo per pura fortuna non ha provocato seri danni alle persone, si è andata solo ad aggiungere ai quintali di polvere che, dalle numerose serrande arrugginite e dai portoni chiusi allo sguardo, da anni reclamano più attenzione. Ecco, la cosa assume un carattere “simbolico” non perché si vorrebbero usare argomenti poco legati al dato reale per accusare specularmente chicchessia, ma perché il crollo di quel palazzo è solo l’ultima fotografia di un degrado urbano che ha messo solide radici. Perché gli spazi urbani che non sono vissuti vengono inghiottiti dalla polvere. Perché dove non c’è vita la morte dell’anima prepara banchetti.

Cosa è successo al palazzo di via Pasquale Migliaccio? Perché è successo? Perché un palazzo diventa ad un tratto inagibile? I motivi che lo hanno reso pericolante sono ascrivibili a disservizi sedimentati nel tempo della pubblica amministrazione o all’incuria di privati cittadini? Intanto che queste domande trovino delle risposte (?), quest’ultima triste pagina di “ordinaria” precarietà urbana ci ha restituito cinque famiglie costrette ad abbandonare le loro abitazioni. Tutte persone che dal giorno alla notte si trovano a non poter più usufruire di una casa e senza che gli sia stata data una motivazione sufficientemente valida sulla decisione presa da parte degli organi competenti.

Si potrebbe affermare che la terna commissariale che regge le sorti amministrative di Orta di Atella abbia agito quasi “pilatescamente” prendendo le soluzioni più semplici nel modo più sommario possibile: non dando corso a una perizia tecnica adeguata sull’effettiva pericolosità del palazzo, non assicurando le misure di sicurezza adeguate della zona una volta supposta la pericolosità della stessa, non verificando se anche altri palazzi della zona possano essere sottoposti alle stesse misure restrittive, non garantendo alle persone sfrattate alloggi dignitosi per tutto il tempo necessario. Sia chiaro, l’incolumità delle persone viene prima di tutto, ma per garantirla sul serio si deve dar mostra di agire con un grande senso di responsabilità al di sopra di ogni sospetto. Se la zona è pericolosa si agisca di conseguenza e non si rimanga in un limbo.

Invece che rappresentare lo Stato che si assume l’onere di prendere decisioni chiare e inequivocabili, le tre commissarie prefettizie sembrano sempre galleggiare nella vaghezza arbitraria. Facciamo però un breve excursus cronachistico relativo al “calvario” predisposto per le persone sfrattate, che ci racconta che le commissarie prefettizie hanno disposto per le cinque famiglie l’alloggio (a spese del Comune) fino alla giornata di venerdì all’Hotel Silverado (quello sito a via Bugnano). Poi, successivamente, saranno trasferite nei locali che un tempo hanno ospitato, in tempi diversi, gli uffici dell’ASL e le aule dell’Istituto Alberghiero, situato nell’ex piazza Sandro Pertini. Sono state allestite delle brandine di (s)fortuna, i pochi bagni disponibili saranno in comune per le circa venti persone da ospitare, l’assenza di acqua calda è solo il disservizio più evidente (ed infamante) e pensare di farsi una doccia diventa una chimera. Urge aggiungere che tra le circa venti persone sfrattate ci sono quattro infartuati, un uomo sulla sedia a rotelle e un neonato di cinque mesi. E non ci sembra che ricordare queste cosa significhi fare del “sensazionalismo d’accatto”, quanto piuttosto ricordare che il risultato in questo paese continua ad essere sempre lo stesso: quello di far pagare le peggiori conseguenze della cattiva gestione della cosa pubblica alle fasce sociali più deboli, lese nella loro dignità di cittadini e di persone.

Volendo concludere, è vero che la situazione è emergenziale ed è scoppiata all’improvviso, ma alcune domande nascono spontanee, fosse solo perché non ci rassegniamo a essere passivi spettatori di fronte a scene di illogica indifferenza. Può una comunità intera accettare che per le mancanze della politica si risponda a una situazione di emergenza con una pianificata offesa alla dignità umana? Può una comunità intera accettare che l’aiuto più concreto alle famiglie disagiate arrivi più dal dovere civico di singoli cittadini che da chi è preposto a metterlo in pratica fattivamente? Può una comunità intera pretendere di essere immune dalle ferite inferte a questo paese quando l’abitudine più consolidata in ognuno dei suoi membri diventa quella di voltarsi sempre dall’altra parte? Queste domande, più che pretendere delle risposte, vorrebbero avere la pretesa di attivare qualche riflessione proficua.

Poi sono domande che portano in dote cenni di solidarietà fatti con rispettosa discrezione. Alle famiglie che in questi giorni stanno vivendo momenti di disagio a causa di problemi di cui, con ogni probabilità, non sono direttamente responsabili.