Pretesti per parlarne: incontro con Francesco Pallante

Giovedì 27 Ottobre alle 19:30 si terrà, presso il Chiostro del Convento dei Frati Minori in P.zza San Salvatore a Orta di Atella, la presentazione del libro “Loro diranno, noi diciamo” di Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante.

All’incontro organizzato dal Collettivo Politico Culturale “Città Visibile”, all’interno della rassegna “Pretesti per Parlarne”, parteciperanno l’autore Francesco Pallante, professore di Diritto Costituzionale presso l’Università di Torino e Giuseppe Cerreto, del Collettivo Città Visibile e responsabile del Comitato Atellano per il NO. Modererà l’incontro Renato Briganti, professore di Diritto Pubblico.

Loro diranno, noi diciamo è un libro quanto mai attuale, che servirà da spunto per parlare di politica, Costituzione e soprattutto del Referendum Costituzionale su cui saremo chiamati ad esprimerci il 4 Dicembre.

Nel saggio, diventato il manifesto delle ragioni del NO alla riforma, gli autori argomentano contro le modifiche della Costituzione – di cui si vorrebbero cambiare ben 47 articoli (oltre un terzo del totale) – e contro la legge elettorale, per il rinnovamento di una democrazia partecipata. Oltre alle critiche di merito (contraddizioni, errori concettuali, complicazione del sistema), vengono messe in evidenza le forzature procedurali che hanno connotato il percorso di approvazione delle due leggi. Ne emerge un quadro tutt’altro che rassicurante: le nuove regole del gioco politico risultano essere, a giudizio degli autori, sempre più un’imposizione unilaterale basata su rapporti di forza incostituzionali – leggi approvate in tutta fretta e al costo di qualunque forzatura.

Il libro si chiude offrendo al lettore il confronto, articolo per articolo, del testo della Costituzione vigente con quello che scaturirebbe dalla riforma. Ciò allo scopo di offrire al cittadino una chiara visione d’insieme del nuovo dettato costituzionale.

Una presentazione che va nel solco dell’impegno nella campagna referendaria per il NO, nella quale il Collettivo Città Visibile è impegnato, essendo tra i promotori del Comitato Atellano per il NO.

Orta di Atella è la Città dei Record!

No, non è uno scherzo ma una notizia reale, Orta di Atella è la città italiana con l’età media più bassa d’Italia appena 33,6 anni davanti a Livigno, località alpina in provincia di Sondrio, e a Gricignano di Aversa. Una bella soddisfazione, con ben 109 nascite nei primi quattro mesi dell’anno contro i soli 38 decessi, una media che sicuramente sarà andata in picchiata negli anni del “favoloso” boom edilizio, periodo durante il quale la popolazione ortese è passata dai 13.070 abitanti del censimento del 2001 ai 25.162 abitanti del 2011: cifre da capogiro!

Orta di Atella era diventata il Paese degli sposini e dei fiocchi rosa e celesti con tante giovani coppie che pensavano di fare l’investimento della loro vita in quel Paese fino a qualche anno prima quasi sconosciuto alle cronache e dedito perlopiù all’agricoltura; un Paese che nel giro di qualche anno prometteva una crescita esponenziale: ricchezza, investimenti nell’edilizia, posti di lavoro, clientele, bolla immobiliare in espansione e una classe politica tanto sfacciata e rampante quanto arrogante. A tratti sembrava di rivivere le celebri scene del celebre film Le mani sulla città di Francesco Rosi, e così è stato.

Nessuna città sembrava più adatta per quell’investimento ultradecennale chiamato mutuo, con i tassi di interesse e la rata da pagare che ogni mese vanno e vengono strozzando con un cappio al collo i consumi e il potere d’acquisto delle famiglie. E chissà quante giovani coppie si sono ritrovate con l’Autorità Giudiziaria che andava a contestare la legittimità di quell’investimento e il Comune che ritirava le licenze appena concesse partorendo i decreti di abbattimento delle costruzioni appena edificate.

Ma torniamo al Paese dei record, non dissimile dal Paese reale: non tutti sanno che se Orta di Atella nel 2016 sale sul podio come paese più giovane, nel 2014 già aveva conquistato un importante primato: Il paese tra i 10.000 e i 50.000 abitanti con il debito complessivo più alto! L’incidenza dei debiti totali (attivi e passivi) del Comune in relazione alle entrate correnti riscosse nel corso dell’anno è più del 400%, un grande risultato frutto di decenni di mala amministrazione: proprio il mese scorso l’Organo Straordinario di Liquidazione con delibera n.8 del 14/09/2016 stimava la massa passiva del Comune a c.a. 29 milioni di Euro. In pratica tenendo conto dei circa 27.000 abitanti attualmente residenti sul suolo ortese, il debito pro/capite supererebbe i mille euro, compresi i 109 neonati nei primi mesi di quest’anno alle cui famiglie vanno i nostri migliori auguri!

Certo non ci dispiacerebbe se l’attuale Sig. Sindaco – già vice-Sindaco nella passata Amministrazione – e l’Assessore al Bilancio (di oggi ma anche di ieri) ci spiegassero come si arrivi a tali cifre! E in effetti siamo di fronte ad un altro tentativo di record, quello nello stabilire la latitanza politica più lunga: cos’altro c’è da vincere?

Ma è altrettanto opportuno ribadire che noi cittadini non siamo in debito con nessuno! Paghi piuttosto chi ha lucrato e speculato sulle nostre vite e sul nostro desiderio di vivere una vita all’altezza dei nostri sogni e delle nostre aspirazioni!

di Francesco Comune e Giuseppe Cerreto

Perché NO

Come Guernica. Se ti metti sotto sotto a guardarlo, magari scopri dettagli, ma non capisci. La prima volta che sono andato al Museo Reina Sofia di Madrid a guardare il quadro di Pablo Picasso ho pensato che c’era poco spazio: non si riusciva a stare alla giusta distanza per vedere e capire l’insieme. Magari il ricordo è falsato, ma il concetto è quello: ci vuole spazio.

La Costituzione è come Guernica, la devi guardare da lontano per pesare bene tutti gli elementi, per capire. Bisogna mettersi lontano dalle urgenze contingenti, dalle beghe dell’oggi. Fare uno sforzo: guardarla dal futuro ad esempio. Pensare alle possibilità remote più che alle probabilità prossime.

L’assoluta mancanza di questa giusta distanza rende il dibattito sul referendum costituzionale veramente misero, asfittico. Tutto piegato sulle “convenienze”, sull’ottuso pragmatismo che è la cifra ultima dell’agire politico odierno. Anche gli interventi che appaiono vagamente lungimiranti non vanno oltre il dopodomani. Gli articoli di alcuni giornali stranieri (Financial Times in testa), infine, travisano la faccenda: se passa la riforma si evita la recessione, scrivono gli inglesi. La “stabilità” politica, garantita dalla vittoria di Renzi e Boschi nella battaglia referendaria, sarebbe la condizione per realizzare le riforme che “l’Europa attende”. Dei possibili scenari ipotizzati per il dopo referendum da New york times e Wall street journal (si vedano gli articoli di ferragosto 2016 in particolare) nessuno è diretta conseguenza dei nuovi assetti costituzionali ma degli effetti collaterali degli esiti della competizione referendaria; insomma anche i commentatori stranieri stanno con il naso schiacciato sull’oggi. Il sottotesto dei ragionamenti che ascoltiamo, non suscettibile di verifica, è che il benessere economico-sociale del popolo europeo sarebbe garantito (solo) dalle riforme indicate come necessarie da questo luogo politico virtuale conosciuto col nome di “Europa”: se Renzi perde non riuscirà a fare le riforme anche se rimane in carica il suo governo. Dov’è la riflessione sui contenuti della legge di revisione costituzionale?

Se poi volessimo approfondire l’assunto stabilità *uguale *buone riforme, scopriremmo che in Italia molte delle leggi migliori, quelle che hanno inciso veramente e in positivo sulle vite delle persone, sono state prodotte in momenti di grande instabilità: statuto dei lavoratori, sistema sanitario nazionale, chiusura dei manicomi, equo canone e tutta la legislazione sull’edilizia popolare. Per non parlare delle leggi veramente “buone” sulla scuola e cioè le 150 ore, il tempo pieno, la scuola media unica, l’integrazione degli alunni disabili e via dicendo. Senza pretendere di stabilire nessi di causalità, si tratta di norme prodotte da parlamenti altamente frammentati (eletti fra l’altro in regime di proporzionale pura) e governi che duravano in media un anno.

Questo referendum offrirebbe un’occasione: aprire una discussione vera su un vocabolario politico che appare dato e immutabile, non verificabile, non rinunciabile. Semplificazione, governabilità, flessibilità, cambiamento: questi feticci, se sbrogliati dalla pappa mediatica che li avvolge, mettono davvero tutti d’accordo? Ci sono, ci vorrebbero convincere, termini sui quali non è ammessa sfida.

Il referendum, senza che questo effetto sia stato lontanamente voluto promotori della riforma, potrebbe produrre una sana operazione di ecologia del linguaggio pubblico o, più rudemente, un posizionamento politico vero sulle questioni centrali della democrazia.

Vediamo.

Semplificazione

La semplificazione è un ideale fascista. La questione centrale, la domanda che pone il referendum costituzionale, in ultimissima analisi, è: “come si prendono le decisioni pubbliche in una democrazia?”. Il chi decide mischiato al come si decide. Per l’attuale presidente del Consiglio la migliore decisione è quella veloce. Il *gap *tra la rapidità delle dinamiche sociali e la capacità di reazione delle istituzioni è troppo ampio, si dice. Causa di questo *gap *è la farraginosità (altro termine molto quotato) del sistema. Per questo bisogna semplificare: per essere al servizio di una realtà complessa e in mutamento, si dice. Velocità, insomma.

In realtà la semplificazione ha due anime: la velocità e la decisionalità. La prima viene usata, mediaticamente, per accaparrarsi la seconda. Come in tutte le pubblicità ciò che si comunica raramente ha a che fare con il prodotto che si vuole vendere. Cosa vuole vendere Renzi?

Il sogno di ogni potere: il “silenzio” degli altri. L’assolutezza.

La *decisionalità *è un ferro vecchio, un pericoloso ferro vecchio. In molti hanno richiamato il precedente storico dell’approvazione della legge Acerbo (la legge elettorale del 1923 che, voluta dai fascisti e “tollerata” da molti liberali, permise la presa del potere in maniera legale da parte del futuro duce). In effetti quella legge fu preceduta da un dibattito che se non è proprio sovrapponibile ha molte somiglianze con quello odierno. Insomma: le opposizioni ostative, uscire dal pantano, governo autorevole, forte, fortissimo. Farina del sacco di Benito Mussolini. Che ancora oggi imbianca le parole di molti.

Non siamo alla vigilia del fascismo: sarebbe tutto, tragicamente, più “chiaro”. Ma siamo ad una rottura. Semplificazione non è semplicità (“per un’Italia più semplice” è uno degli slogan dei fautori del sì). Provocatoriamente: il sistema politico massimamente semplificato è la monarchia assoluta. Uno decide tutti gli altri obbediscono: velocissimo. La storia del costituzionalismo moderno è la storia della progressiva compressione dei poteri del sovrano e l’invenzione di strumenti e procedure per bilanciare questo potere. L’approdo è la consegna della sovranità al popolo. Le procedure che, per i fautori del sì vanno semplificate, in molti casi sono quelle che, ad avviso di molti, sostanziano la democrazia.

Governabilità

La governabilità è la sorella maggiore della semplificazione. Indiscutibile, altèra, ammanta di sé ogni discorso: governabilità è bene, anarchia il suo contrario. Si vota per assicurare governabilità, si fanno accordi politicamente funambolici, indecenti a volte, si fanno leggi elettorali per essa.

In verità nel binomio rappresentanza/governabilità il prius, il precedente logico è la rappresentanza: si vota per essere rappresentati, si elegge il parlamento (non il governo, almeno nel nostro sistema), si deve assicurare la possibilità di governare a chi rappresenta la maggioranza dei cittadini. Ma la maggioranza ci deve essere. Governabilità senza rappresentanza (o con un simulacro di rappresentanza) non è democrazia.

La governabilità non è un ferro vecchio: entra nel nostro dire politico (e nelle nostre leggi) ad inizio anni Novanta. É un ferro giovane. Trasforma i sistemi politici contestualmente all’imporsi, sul piano economico-sociale, delle politiche di stampo neoliberista. E non è, assolutamente, un caso. Nella storia italiana governabilità e *neoliberismo *sono termini che vanno a braccetto.

Questo ci porta alla terza parola da sabotare.

Cambiamento

Fare provvedimenti, decidere, decidere rapidamente, cambiare. Chi non è preso da questo furore è fuori dal progresso. Troppo facile affermare che nulla si dice sul segno di questo cambiamento, sul contenuto dei provvedimenti. E però cambiamento è uno di quei “prodottini” che si vende benissimo. Si vende da solo, dicono i venditori di pentole.

Qui le teorie e le ipotesi devono lasciare il passo alla memoria, personale o condivisa, di fatti vissuti direttamente o ricostruiti; insomma bisogna fare uno sforzo: concentrarsi sul passato prossimo. Fissiamo una data: 1980. E chiediamoci cosa ha significato, di fatto, cambiamento in questi quarant’anni. La mia lettura, un po’ istintiva e senza raffinati distinguo, è la seguente: cambiamento è stata, sul piano collettivo e politico, in questi anni il maldestro travestimento del peggioramento.

Mi spiego. Per Calamandrei la Costituzione era una “rivoluzione promessa” in cambio di una “rivoluzione mancata”. Intendendo che in quella promessa c’era la *possibilità *che i principi sanciti dalla prima parte della Carta potessero diventare realtà. Era una partita tutta da giocare. Semplificando al massimo: il primo tempo di questa partita, gli anni dal 1950 al 1980, li potremmo definire gli anni dell’avvicinamento. In mezzo a mille contraddizioni alcuni di quei principi si sono avvicinati alla realtà. I punti più alti di questo “avvicinamento” sono le riforme già ricordate: statuto dei lavoratori e istituzione del sistema sanitario nazionale in testa a mio avviso. Per inciso: questi alti momenti istituzionali non sono il prodotto di parlamenti e governi illuminati, ma l’esito di pressing popolare, coinvolgimento democratico, conflitto verticale (non uso volutamente il termine *partecipazione *altro vocabolo che andrebbe sottoposto a detersione politica).

Il quarantennio successivo, dal 1980 appunto, è il tempo dell’allontanamento. Di fatto i principi costituzionali sono gradualmente disattesi. La rivoluzione tradita. Sono gli anni della lotta di classe dichiarata “dall’alto” direbbe la buonanima di Luciano Gallino. Le classi dirigenti, il finanz-capitale, i padroni (chiamateli come vi pare) si riprendono, con gli interessi, il poco che avevano concesso. La revisione costituzionale promossa da Boschi e Renzi è un pezzo di questa storia.

Chi oggi intraprende la battaglia referendaria per il no deve fare i conti con la “morte” della Costituzione, col fatto che oggi la Costituzione “materiale” del paese è già radicalmente riformata, in peggio.

Oggi solo apparentemente la battaglia non riguarda i principi generali della Costituzione, quelli sanciti nella prima parte della Carta. In realtà quanto più si affievoliscono i freni e contrappesi previsti nella seconda parte, quanto più si alterano le procedure dell’esercizio del potere (che non sono mai neutre) tanto più si apre alla possibilità di allontanarsi dai principi generali sanciti nella prima parte, che i fautori del sì si affrettano a dire intoccata.

Alcune osservazioni “tecniche”

Non sono un costituzionalista. Un maestro elementare con l’hobby del diritto, piuttosto. Proprio per questo sento di poter prendere parola: perché le costituzioni sono affare del popolo e non dei governi. E allora: per chiudere alcune riflessioni su tre temi che più appassionano politici e media.

Il primo riguarda la legge elettorale. Assolutamente non condivisibile il posizionamento di chi, in soldoni, dice: “se si abolisce l’Italicum, si può votare sì al referendum costituzionale”. L’Italicum è forse la peggiore legge elettorale che abbia avuto l’Italia repubblicana e la somma, legge elettorale più riforma costituzionale, accelera senz’altro il processo di accentramento del potere di cui parlavo. Ma far discendere da questo un possibile baratto (un po’ di “decenza” elettorale in cambio dell’acquiescenza alla riforma costituzionale) è veramente frutto di miopia, e, come detto, quando si parla di Costituzione non si può essere miopi ma si deve avere la capacità di guardare lontano e da lontano. Le leggi elettorali si fanno con le ordinarie maggioranze parlamentari, a differenza delle riforme costituzionali. Se si crea una intelaiatura costituzionale che, accostata ad una particolare modalità di eleggere i rappresentanti del popolo, dà vita a involuzioni autoritarie, niente vieta che in futuro quella modalità, oggi accantonata per calcoli politici, torni ad essere imposta.

E poi la “personalizzazione” del referendum. Quello che di fatto renderà il referendum un esame per il governo, non sono le scomposte dichiarazioni di Renzi sulle sue dimissioni in caso di sconfitta, dichiarazioni poi rimangiate su “consiglio” di chi ha preso in mano le strategie della campagna referendaria. Quello che si giudicherà sarà (anche) un metodo. Sembra un discorso tecnico ma non lo è. Come dire: questo governo agisce come se già fosse in vigore la “nuova” Costituzione. Tutto si produce per via governativa. Consultare è verbo sconosciuto. Pensate, al di là dei contenuti, a come è nata la riforma dell’istruzione (chiamata, pubblicitariamente, buona scuola): di fatto il mondo della scuola è stato assolutamente escluso dalle decisioni, della riforma essendo oggetto senza mai avvicinarsi nemmeno un po’ ad esserne soggetto. Pensate a come vengono programmate e realizzate le grandi opere in Italia: i processi di partecipazione sono ridicole procedure in cui ai cittadini viene lasciato un marginalissimo spazio d’intervento che non arriva mai ad un giudizio sul se dell’opera. E infatti il “no” non è proprio previsto, spesso criminalizzato.

Quello, in sintesi, è il metodo. Per onestà va detto che il brevetto non è di Matteo Renzi che ne è “solo” un impeccabile interprete. Se un tratto distintivo volessimo cercare nel suo Governo potremmo rinvenirlo proprio in questo sordo pragmatismo portato al limite. Per decidere, semplificare, cambiare.

Infine il Senato. Siamo nel territorio del dilettantismo applicato al diritto. Si definisce un Senato composto in maniera quantomeno singolare (en passant: per alcuni costituzionalisti, sottraendo sovranità al popolo in merito all’elezione, si incide sulla forma di stato e non – solo – sulla forma di governo: da ciò l’impossibilità di un cambiamento della Carta senza passare da una nuova Assemblea Costituente); si struttura il Senato come camera “minore” e conseguenzialmente le si toglie la facoltà di votare la fiducia ma poi le si concede il voto, tra le altre cose, sulle revisioni alla Costituzione e sui trattati comunitari; le si sottrae la possibilità di votare la legge di stabilità ma poi le si dà il compito di nominare due giudici costituzionali (gli altri tre sono eletti da 630 Deputati. I giudici sono 15 in tutto). Grossa è la confusione.

Ma qui il tema vero è l’elezione: insomma, è da tempo oramai che, di fatto, la sovranità non appartiene al popolo, ma sentirselo dire in maniera così diretta e leggerlo nero su bianco fa comunque un certo effetto.

Questo pezzo è uscito su Gli Asini, che ringraziamo

Roghi e Discariche ad Orta. Noi non ci fermiamo!

Per il nostro Collettivo che è nato da persone, attivisti e militanti, che della battaglia in Terra dei Fuochi ne hanno fatto una ragione di vita, la questione ambientale non poteva essere una marchetta di propaganda per piazzare una bandierina su un tema che riteniamo centrale o che almeno dovrebbe essere tale nella discussione politica di Orta di Atella.

Con questo spirito il 29/12/2015 protocollammo le osservazioni al Registro delle Aree interessate da abbandono e roghi di rifiuti e seguendo lo stesso spirito il 05/07/2016, stante l’immobilità nell’adozione di qualsivoglia azione diretta a bonificare le Aree oggetto del Registro protocollammo un’instanza di sollecito al Sindaco di Orta di Atella al fine di dare effettiva attuazione a quanto previsto dalla già limitate Legge Regionale 20/2013.

Sono passati 9 mesi dalle prime osservazioni, 6 mesi dall’istituzione del Registro e 2 mesi dalla nostra istanza di sollecito senza che sia stata fatta nessuna azione significativa ne tantomeno l’amministrazione abbia posto seriamente la questione nella discussione politica, non c’è stata una programmazione degli interventi, non c’è stato un incontro, non sono state date rassicurazioni e non sono state date nessun tipo di prospettive per la risoluzione del problema, l’unica cosa “seria” che è avvenuta è stato l’ennesimo mega rogo a San Pancrazio a cento metri dal Sindaco e l’Amministrazione Comunale tutta riunita per l’inaugurazione del nuovo Cimitero.

Questo è intollerabile!

Per questo il Collettivo Politico Culturale Città Visibile e l’ACU – Associazione Consumatori Utenti tramite i propri legali hanno fatto pervenire una Diffida ad Adempiere e una richiesta di azione congiunta relativamente alle aree soggette a roghi e sversamenti oltre che al Sindaco, al Ministero dell’Ambiente, al Commissario per i Roghi in Campania, alla Direzione Generale per l’Ambiente e l’Ecosistema della Regione Campania, al Distretto 18 dell’ASL, alla Campania Ambiente e Servizi spa e all’ANAC.

Orta di Atella non può essere più una discarica!

Chiediamo al Sindaco di attivarsi presso queste altre Istituzioni perché gli diano gli strumenti idonei a far si che si possa procedere alla bonifica dei siti.

Non siamo ciechi e sordi, sappiamo che Terra dei Fuochi è un problema vasto che non può essere scaricato sulle spalle dei Comuni ma ci vediamo e sentiamo abbastanza per valutare l’azione di questa Amministrazione del tutto insufficiente.

Non è stato fatto neanche quel poco che si poteva fare e finché il Sindaco non farà sua questa battaglia andando a bussare a tutte le autorità in grado di intervenire per risolvere il problema noi non ci fermeremo.

Questa è una battaglia che abbiamo intenzione di vincere.

Ci vediamo tra 20 giorni!

NO! al Referendum Costituzionale – assemblea aperta

Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne dove caddero i Partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare libertà e dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione.
― Piero Calamandrei

Con la Riforma Costituzionale e la Legge Elettorale il Governo vuole svuotare la democrazia e indebolire la Costituzione: è nostro dovere di liberi cittadini e cittadine dire NO! allo sciacallaggio dei nostri diritti.

La Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza e dalla Liberazione dal nazifascismo, rappresenta il punto più alto della convivenza libera e civile nel nostro Paese in quanto regola diritti e doveri di ogni cittadino. Nasce dunque con lo scopo di salvaguardare diritti e libertà democratiche ed evitare ogni pulsione autoritaria dello Stato. Solidarietà, uguaglianza, giustizia, libertà, laicità sono i principi su cui si regge la Carta Costituzionale e rappresentano la linfa vitale della democrazia: senza di essi la coesione sociale non esisterebbe e si correrebbe il rischio di regalare la società in mano a pulsioni pericolose, violente e disgregatrici.

Tutelare la Costituzione e la democrazia significa garantire la sovranità popolare e ridare voce agli uomini e alle donne per liberarli da oppressione e ingiustizia: diciamo con forza il nostro NO! a quello che è un vero e proprio furto della sovranità e della democrazia. Come cita l’Art. 1 della Costituzione «la sovranità appartiene al Popolo» e non di certo ad una manica di nominati e corrotti che siedono tra gli scranni del Parlamento dando seguito ad interessi di banche, lobbies economiche e affaristico-finanziarie, poteri forti e grandi corporations, ignorando completamente le esigenze di un popolo che ha pagato sulla propria pelle il prezzo di una crisi generata da malaffare, corruzione e scelte economiche del tutto sbagliate.

Il voto referendario è alle porte. E’ nostro dovere di cittadini non restare a guardare: bisogna agire per riprenderci tutto ciò che è nostro, per questo Martedì 19 Luglio alle ore 20:30 ci incontreremo presso la sede del Collettivo Politico Culturale Città Visibile in Piazza Pertini per unirci assieme alle forze politiche, sociali, culturali, associative, sindacali e liberi cittadini che dicono NO! allo scempio della democrazia e della Costituzione.

Orta è ancora una discarica

A sette mesi dai prospetti redatti dall’ufficio tecnico con l’indicazione delle aree pubbliche e private dove si sono verificati abbandoni o roghi di rifiuti, a sei mesi dalle nostre Osservazioni in cui a quel prospetto indicavamo altre aree non inserite e comunque interessate dal fenomeno, a tre mesi dalla delibera di Giunta n. 18 che approvava il registro delle aree interessate da abbandono e rogo di rifiuti siamo tornati sui luoghi delle discariche per appurare che tutto è come prima.

Dobbiamo constatare che l’Amministrazione Comunale non solo è stata deficitaria ma ha totalmente ignorato il problema e mentre il Sindaco inaugurava con appena 20 anni di ritardo l’inizio dei lavori del Cimitero Comunale a San Pancrazio, a 100 metri bruciava di tutto.

Un inferno a cui non si è voluto mettere mano, un problema che evidentemente non c’è volontà politica di risolvere.

Di fronte a questo immobilismo è stato inevitabile per noi dover protocollare una diffida ad adempiere secondo le Leggi Regionali e dello Stato, chiediamo al Sindaco e alla Giunta Comunale di usare i mezzi messi a disposizione, peraltro limitati, dalla legislazione corrente.

Pretendiamo che questa Amministrazione la smetta di preoccuparsi solo di poltrone, come ha fatto finora con la Presidenza del Consiglio Comunale, come ha fatto con la Presidenza della Acquedotti scpa, come ha fatto con le deleghe illegittime affidate ai Consiglieri Comunali.

Pretendiamo che questi Amministratori che nonostante i tanti anni di vassallaggio risultano ancora improvvisati alla politica, provino a governare se ne sono capaci o se ne vadano a casa.

Pretendiamo un minimo di decenza amministrativa.

Lo stato in cui versano alcune zone di Orta di Atella sono indegne per un paese civile.

Qui il reportage fotografico delle Discariche che sono rimaste tali:

  1. Eurocompost – Coordinate 40.971164N 14.286844 E
  2. Località Masseria San Nicola Coordinate 40.991757N 14.282025 e Località Santo Stefano Coordinate 40.992079N 14.280453E
  3. Località Masseria Barone Coordinate 40.978120N 14.269950E
  4. Prolungamento via Clanio e Località Cervone Coordinate 40.978845 N 14.281503 E
  5. San Pancrazio Coordinate 40.987099 N 14.289073 E
  6. Zona PIP 2 ambito 22 Coordinate 40.978185N 14.272450E
  7. Via Giardino Ciardulli e Località Tavernole Coordinate 40°58’24.1N 14°16’51.8E
  8. Via San Michele Coordinate 40.991446N 14.289611 E

Il documento consegnato al Comune di Orta di Atella, protocollo n. 10102 del 05/07/2016, è scaricabile da qui.

“Quando è troppo è troppo!” Bernie Sanders arriva a Succivo

Quando è troppo è troppo! pubblicato dall’editore Castelvecchi è la raccolta di discorsi del Senatore Bernie Sanders, candidato alle primarie del Partito Democratico americano e curati nell’edizione italiana da Rosa Fioravante che sarà al centro dell’incontro organizzato Martedì 5 Luglio dalle 18:00 presso la sede di SfogliaAtella Lab, al Corso Atella 5 di Succivo, coorganizzatrice dell’evento assieme al Collettivo Politico Culturale Città Visibile di Orta di Atella.

Compiremo un incredibile viaggio in questa “anomalia” tutta americana: il vecchio Senatore del Vermont, nonostante i suoi 75 anni suonati, 35 dei quali passati da militante per i diritti civili e sociali e contro ogni tipo di guerra e discriminazione, riesce a fare breccia nel cuore di centinaia di migliaia di giovani americani, i cosiddetti “millennials” ossia la generazione nata a partire dagli anni 80-90: nata in piena società post-industriale e cresciuta nell’era della rivoluzione digitale è forse la generazione che più di tutte ha sofferto la crisi di fine anni 2000 trovandosi a vivere sotto l’ombra incombente di precarietà e disoccupazione.  

Bernie Sanders, “socialista” per autodefinizione in una realtà come quella americana dove questo termine agita vecchie paure verso un “nemico” che per decenni era visto come una minaccia imminente e usato dalla propaganda per schiacciare il dissenso e giustificare ogni tipo di repressione, ha rappresentato la vera novità delle primarie democratiche, una novità che non si assopisce con l’inevitabile sconfitta contro l’altra contendente democratica alla Casa Bianca Hilary Clinton, sostenuta dall’establishment politico e dalle lobbies economico-finaziarie, e che in qualche modo smonta ogni retorica giovanilistica all’insegna della rottamazione (cfr. renzismo).

Portavoce delle istanze del movimento Occupy Wall Street che ha denunciato al mondo intero ingiustizie e iniquità del capitalismo finanziario e al tempo stesso portatore di una prospettiva di “socialismo democratico”, Bernie Sander ha basato la propria campagna sulla necessità di un nuovo welfare che si occupi di tutti i cittadini, soprattutto dei più deboli, che garantisca cioè una sanità pubblica e gratuita per tutti, la possibilità di accesso all’università anche per gli studenti più poveri e una politica dal basso che sia aperta a tutte le classi sociali e che non sia solo appannaggio per i più ricchi. Un tema cruciale affrontato da Sanders è proprio quello del finanziamento della politica. Il senatore del Vermont è infatti l’unico candidato a non accettare i finanziamenti provenienti dai “SuperPacs”, un sistema che permette ai grandi gruppi finanziari di controllare la politica americana: Sanders accetta solo piccole donazioni da parte dei suoi elettori esercitando così una politica libera da ogni condizionamento esterno.

Abbiamo la soluzione al conflitto tra il Sindaco Mozzillo e il Presidente Indaco

Abbiamo mobilitato i nostri esperti alla ricerca di una soluzione al problema che negli ultimi mesi ha attanagliato la vita di migliaia di Ortesi, abbiamo interpellato fini politologhi ed esperti in materia, abbiamo analizzato lo Statuto, i Regolarmenti e tutte le sentenze espresse sul caso, abbiamo avuto tavole rotonde con prefetti, commissari, emissari del Governo centrale e Regionale per sciogliere questa matassa senza il quale, diciamocelo, non si può che restare in una situazione di stallo politico.

Tutto il nostro impegno profuso nella risoluzione del problema che ruota attorno alla revoca della carica del Presidente del Consiglio Comunale.

Può il Sindaco Giuseppe Mozzillo andare in Consiglio Comunale e revocare la Carica ad Eduardo Indaco?

Ebbene alla fine di tutte queste consultazioni è emerso un dato su cui tutti gli esperti concordano e sappiamo che troverà anche il plauso della stragande maggioranza di cittadini.

La soluzione è semplice.

Se ne andassero a casa entrambi e liberassero il Consiglio Comunale che hanno tenuto in ostaggio per un anno intero.

Liberateci!

Pretesti per parlarne: Storia dell’Italia Mafiosa il 10 giugno

Storia dell’Italia Mafiosa” del Professore Isaia Sales sarà al centro di un nuovo incontro organizzato dal Collettivo Politico Culturale Città Visibile nell’ambito della rassegna “Pretesti per Parlarne”.

La presentazione si terrà Venerdì 10 Giugno dalle ore 18:30 nelle Sale all’interno del Chiostro del Convento dei Frati Minori in Piazza San Salvatore di Orta di Atella.

Il libro dello studioso edito da Rubbettino, frutto di tre anni di ricerche sulla mafia vista come componente essenziale della storia d’Italia e non solo come fenomeno delinquenziale. Proprio nella sua capacità di essere “nella storia” il fenomeno mafioso ha mostrato la sua persistenza, la sua peculiarità conservatrice, fondata sulla capacità di essere un sistema di potere in continua relazione con altri poteri, di saper stringere patti anche con quello Stato che avrebbe dovuto combatterla senza mai mostrare reticenze a farlo.

E cosi le mafie, nate sotto il dominio dei Borbone, prolificate nello Stato unitario, hanno seguitato e seguitano a esistere, adeguando le manifestazioni del proprio potere allo scorrere del tempo.

Un incontro che verrà la partecipazione dell’autore, Isaia Sales docente di Storia delle mafie all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli, editorialista del Corriere del Mezzogiorno e convinto assertore del fatto che le mafie siano state e siano anch’esse partecipi dell’autobiografia della nazione. Quindi non un fenomeno di contorno. E certamente non un fenomeno limitato esclusivamente al Mezzogiorno del nostro paese.

Con l’autore sarà presente il Magistrato Giovanni Conzo, Procuratore Aggiunto a Benevento e già Sostituto a Torre Annunziata, Santa Maria Capua Vetere e alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, nonché autore di numerose pubblicazioni e con un passato di lotta alle mafie straniere e alla criminalità organizzata.

A moderare la discussione la Giornalista Francesca Ghidini inviata speciale della RAI che si occupa di ambiente ed ecomafie da 15 anni. Sulla Terra dei Fuochi, ha realizzato dirette e reportage per Ambiente Italia (RAI 3), TG1, TG2 e RAI News 24. Ha dedicato numerose inchieste alle collusioni tra politica e camorra in Campania.

L’introduzione alla discussione sarà curata dal Collettivo Città Visibile e sarà l’occasione per la sottolineatura dei nessi storici tra politica e camorra nei nostri territori.

Ken Loach, il cinema e la militanza

Ken Loach ha vinto la Palma d’oro al festival del cinema di Cannes con il film “I, Daniel Blake”. È al suo secondo riconoscimento sulla croisette, che arriva dieci anni dopo “Il vento che accarezza l’erba” sulla lotta per l’ indipendenza dell’Irlanda dalla corona inglese. Il film dell’autore inglese si è certamente aggiudicato il premio per motivi esclusivamente cinematografici, ma a me piace sottolineare il valore simbolico che assume la vittoria del suo film, il fatto che, in un tempo storico percorso da una generalizzata disaffezione nei confronti delle politiche di governo, in concomitanza quasi con la possibile vittoria elettorale in Austria della destra xenofoba, ad essere premiato sia stato  un autore che continua imperterrito a considerare l’impegno politico come l’unica strada possibile per cercare i cambiare lo stato delle cose, a parlarci di una politica che non appassiona più in ragione di una idea di mondo da perseguire e che si autoalimenta sulle paure planetarie artatamente inculcate.

Diversi autori potevano aggiudicarsi la Palma d’oro in questa sessantanovesima edizione del festival di Cannes. Poteva prevalere uno tra il talento esuberante del giovane Xavier Dolan (“Juste la fin du monde”), l’elegia dolente di Jim Jarmusch (“Paterson”), il rigore etico proveniente dall’emergente cinematografia rumena con autori come Cristian Mungiu e Cristi Puiu (“Gratuatio” e “Sieranevada”). O ancora, lo spessore autoriale di Olivier Assayas (“Personal shopper”), di Pedro Almodovar (“Julieta”), dei fratelli Dardenne (“Le fille inconnue”), l’originalità di linguaggio di Brillante Mendoza (“Ma’Rosa”) o di Nicolas Winding Refn (“The neon demon”). Ed, invece, a prevalere è stato un giovane ottantenne che ostinatamente continua a percorrere il suo percorso artistico al fianco degli ultimi, degli emarginati, degli esclusi, dei sognatori, un autore di lungo corso che ha sempre concepito il cinema come un mezzo attraverso cui pensare ad un altro mondo possibile. Un cantore delle belle speranze.

L’originalità della sua poetica risiede nel fatto che il suo è un cinema che si sviluppa intorno a idee forti perorate con coerente ragionevolezza critica, che intorno ad esse porta a convogliarvi l’attenzione pubblica, non ricercandola nell’accondiscendenza passiva di chi ha la sua stessa sensibilità politica, ma sapendo generare sdegno in chiunque non si mostri indifferente di fronte alla lucida evidenza di un’ingiustizia. Il suo è un cinema militante ma mai retorico, appassionato ma mai declamatorio, ideologico ma mai moralistico.  Un cinema che scruta la storia nelle sue pieghe più nascoste e ha l’abilità di fermarsi sempre alla giusta distanza : per mostrare i fatti nel loro concreto avverarsi senza compiacersi mai della sua particolare visione delle cose.

E’ rimasto sempre se stesso Ken Loach, la sua militanza inossidabile delinea una posizione precisa da cui poter guardare le cose del mondo, militanza che resiste all’usura del tempo perché fatta di cosciente umanesimo, di fede nell’ideale Socialista, priva di quegli orpelli iconografici che rischiano di renderla evanescente.

Viva Ken Loach il Rosso!