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Referendum: Perché NO!

Il 20 e 21 settembre saremo tutti chiamati ad un appuntamento importante con la Democrazia ma di cui si parla pochissimo: si tratta del Referendum Costituzionale riguardante le modifiche degli art. 56, 57 e 59 della Costituzione che prevede un taglio spropositato del numero dei parlamentari, passando dagli attuali 945 previsti dalla Legge Costituzionale n. 2/1963 a soli 600.

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10 buoni motivi per dire NO!

Il 4 dicembre si avvicina e con esso una tappa fondamentale della democrazia nel nostro Paese: i cittadini italiani verranno infatti chiamati alle urne per esprimersi sul Referendum Costituzionale. Un SI e un NO entro i quali si riassumono due visioni differenti su come debba essere costruita l’architettura costituzionale del Paese.

Trattandosi di materia giuridica complessa sarebbe un grave errore cadere nelle semplificazioni e nella propaganda di chi vorrebbe cambiare di punto in bianco oltre 1/3 della Carta Costituzionale sottovalutando le conseguenze negative che un cambiamento così radicale dei rapporti che intercorrono tra le Istituzioni Repubblicane potrebbe avere non solo sull’assetto istituzionale ma anche sul “sistema Paese” ossia quell’insieme di rapporti sociali, civili ed economici che ne determinano equilibri e stabilità.

Nella fattispecie è fondamentale andare ad analizzare punto per punto le ragioni di chi dice NO alla Riforma, entrando nel merito della questione con criticità oggettiva per sgomberare il campo da ogni dubbio e incertezza ed evitare così quel tifo da stadio e quella banalizzazione che piace tanto ai populismi ma che non fa affatto bene alla democrazia e al confronto civile e democratico.

Ecco 10 buoni motivi per dire NO:

  1. Il bicameralismo non viene superato ma continueranno ad esistere due Camere le quali, con i nuovi regolamenti, entreranno più facilmente in conflitto tra loro a livello delle procedure e degli iter legislativi.
  2. Aumentano procedure ed iter legislativi a carico del Senato così come sancito dal nuovo art. 70 (di difficile interpretazione) che creerà confusione sulle prassi da adottare e nei vari procedimenti da seguire.
  3. Il risparmio ottenuto dai tagli al Senato è minimo e ammonta a soli 50 milioni di euro mentre vengono mantenuti tutti i privilegi accumulati fino ad ora. Inoltre i cittadini vengono privati del diritto di scegliere i propri rappresentanti che verranno nominati dai partiti.
  4. Sarà più difficile indire referendum in quanto per quelli abrogativi le firme passano da 500 a 800 mila mentre per le Leggi di Iniziativa Popolare da 50 mila a 150 mila costituendo così un ostacolo alla democrazia partecipativa.
  5. Anche se non si vota per la legge elettorale (cfr. Italicum) questa è connessa alla Riforma in quanto prevede un premio di maggioranza tanto sproporzionato da non assicurare la giusta rappresentanza democratica alle minoranze.
  6. Viene indebolito il Parlamento per spostare il baricentro delle decisioni nel Governo il quale acquisterà ancora più potere: ciò mette in discussione la tripartizione dei poteri e quell’insieme di pesi e contrappesi che sono il pilastro di ogni democrazia.
  7. La nuova riforma del Titolo V rappresenta un passo indietro in termini di autonomia sia per quanto riguarda le Regioni che gli Enti Locali che perdono gran parte del loro potere decisionale.
  8. La complessità del processo legislativo aumenterà i contenziosi tra Camera e Senato e, con l’abolizione delle materie concorrenti, aumenteranno i ricorsi tra Stato e Regioni paralizzando così amministrazioni locali ed enti territoriali.
  9. La Costituzione può e deve essere migliorata ma non in questo modo. Cambiare ben 47 articoli, senza modifiche che ne migliorino realmente la struttura, mette a rischio tutta l’articolazione costituzionale provocando ingorghi e conflitti istituzionali.                    
  10. I cittadini devono essere liberi di votare indipendentemente da ciò che deciderà di fare il Governo, senza ricatti, compravendite o strumentalizzazioni sulle decisioni che verranno prese in futuro per il bene del Paese.

E’ utile infine dire che il progresso e lo sviluppo di un Paese non sono ostacolati dalle Costituzioni ma è esattamente il contrario. La nostra nasce nel 1948 per chiudere in un cassetto gli anni bui del fascismo e far rinascere così quel senso di civiltà e di rispetto democratico che si era perduto; la Costituzione Italiana ha dunque rappresentato – e rappresenta tuttora – un vero e proprio patto sociale tra i cittadini e le Istituzioni, in cui queste ultime si impegnano a promuovere i principi di uguaglianza, di giustizia e di libertà nella società.

Ci si impegni piuttosto a promuovere questi principi in maniera sostanziale, applicandoli nella realtà, piuttosto che mortificare la Carta Costituzionale e dividere in due il Paese.

La riforma costituzionale è un pacco

Uno degli argomenti più utilizzati dai  fautori del sì è quello del “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” (per dirla con le parole della scheda che avremo tra le mani il 4 dicembre).
Il tema del risparmio fa presa, è di facile comprensione, convince.
Proviamo a guardare in profondità. L’ideologia del risparmio è cosa buona e giusta a prescindere?
È utile, per spiegare le ragioni del no, avvitarsi in una discussione su quanto si risparmierebbe con la riforma a regime? Poco, molto.
A mio avviso bisogna cambiare il punto di osservazione. Radicalmente.

“Le riforme costituzionali non si fanno per risparmiare” dice Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, ed è un dire sacrosanto. Ci sono “cose”, appartenenti alla vita pubblica, sulle quali non si deve risparmiare. Queste “cose” sono i diritti, che hanno un costo, presuppongono un impegno. Quando esse sottostanno alla logica del comprare (e quindi del risparmiare) automaticamente degradano, non sono più diritti.
Per dirla in maniera più spicciola: il modo in cui si disegnano gli assetti costituzionali di un paese non deve essere condizionato dall’intento di risparmiare ma dalla volontà di approntare procedure e strumenti validi per produrre buone decisioni pubbliche, buone leggi. Se per questo c’è bisogno di risorse, sono i soldi spesi meglio.
L’ideologia del risparmio è perversa, anche.
Un esempio: l’esternalizzazione di una mensa scolastica comporta risparmio, non c’è dubbio, ma (nove volte su dieci) porta con sé la compressione del diritto ad una sana alimentazione per i  bambini e la precarizzazione  dei rapporti di lavoro di cuochi e personale vario. Voi, per i vostri figli, lo fareste questo  risparmio?
A chi ci parla di risparmio dobbiamo rispondere che noi siamo per l’equità, che è tutta un’altra cosa. Per la giustizia. L’ideologia del risparmio calata in un sistema profondamente iniquo come il nostro può generare mostri.
Tornando alla riforma: il presunto risparmio è, a mio avviso,  l’effetto collaterale di una “riduzione” della democrazia e, in quanto tale, è proprio inaccettabile.
Per i fautori del cambiamento in peggio (così comincerei a chiamare quelli del sì) molti risparmi si avranno dalla modifica del titolo quinto della Costituzione. Il “prezzo” da pagare per questo risparmio è la massiccia concentrazione del potere nelle mani dello stato centrale a danno dei territori.
Per inciso: la dialettica territori-stato centrale è definitivamente “asfaltata” dalla cosiddetta clausola di supremazia, in nome della quale il potere centrale può avocare a sé praticamente  ogni  tipo di decisione.
La promessa che sarà il nuovo Senato il luogo in cui avverrà la composizione tra gli interessi locali e quelli della “nazione” è di per sé la conferma che la “periferia” non conterà più nulla: la “rappresentanza” dei territori ( tra l’altro esercitata da “personale politico” non eletto direttamente) confluisce in una camera che, per stessa ammissione dei fautori del cambiamento in peggio, è una camera di serie b che in molte materie non ha alcun potere “contrattuale” di fronte all’altra camera e al governo.
Ecco: questo nuovo assetto fa risparmiare dei soldi, forse ( il risparmio deriverebbe dalla diminuzione, tutta da dimostrare, dei conflitti tra stato e regioni). Ma quanto costa in termini di democrazia, autodeterminazione, bilanciamento dei poteri?
Ogni volta che ci parlano di risparmi dovremmo chiederci: “su cosa stiamo risparmiando?” ; la risposta a questa semplice domanda offre la possibilità di distinguere tra compressione dei diritti e produzione di maggior giustizia.
Stesso discorso per il risparmio frutto del ridisegno del Senato. In questo caso la domanda è: il risparmio compensa il disastroso nuovo procedimento legislativo proposto dagli estensori della riforma costituzionale?
Qui il “regalo” del Governo in carica è  incartato proprio bene: ben 215 senatori in meno, che volete di più? (La mera diminuzione del numero dei politici sarebbe l’acqua santa che trasforma la pessima politica in buona politica).
Poi scarti il “pacco” e dentro ci trovi un nuovo iter per produrre norme e decisioni pubbliche che, in nome del “saper decidere”, strozza ogni dialettica parlamentare, ingarbuglia i procedimenti, mette tutto (ma proprio tutto) nelle mani della maggioranza.
“La riforma è un pacco” ho sentito dire in ambienti non proprio accademici. Definizione poco tecnica ma decisamente aderente alla realtà, secondo me.
Guardi una televendita, ti convince l’abile presentatore, “risparmio un sacco” ti dici, hai anche quella leggera eccitazione (direbbe Gaber). Telefoni e fai l’ordine. Poi, quando scarti il pacco che “celermente” ti è arrivato, scopri che dentro c’è l’esatto contrario di quello che ti avevano venduto.
Non fermatevi alla bella e patinata carta, scartate il pacco prima del 4 dicembre.