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Le mani sulla città

La grande espansione urbanistica che ha interessato Orta di Atella, ciò che molti hanno avuto il coraggio di definire il volano per l’economia del nostro territorio, ha rappresentato in realtà una struttura tentacolare che ha preso alla gola un intera cittadina e l’ha strozzata. I danni di quelle scelte scellerate non si sono esaurite con la distruzione del territorio, ma hanno scavato un solco anche nell’animo sociale e culturale della nostra città.
Ancora oggi, quelle scelte ricattano e tolgono il sonno a migliaia di famiglie che non sanno il destino delle loro abitazioni, comprate col sacrificio di mutui e prestiti e diventate, nel giro di ventiquattr’ore, case abusive. I tentacoli di quella piovra sono lunghi e fanno danni anche nel presente.
Ancora oggi, i politici di professione sfruttano queste situazioni di difficoltà per promettere mari e monti a famiglie sconvolte e stremate da decenni di licenze ritirate, decreti di abbattimento, ricorsi e controricorsi; in questi drammi si annidano gli sciacalli, i mestieranti del “Me lo vedo io”. Ecco, abbiamo visto come ve la siete vista voi.
Ora, il dubbio non è più sul passato remoto, ma sul presente pronto a diventare futuro: questi tentacoli hanno manovrato, come marionette, le mani che hanno redatto il PUC? Il dubbio è legittimo, visto che a fronte di 401.634 mq di Standard Urbanistici mancanti come scuole, palestre, parcheggi e chiese, il PUC prevede altro cemento, ovvero altri 761 appartamenti da realizzare.
In questa fase quanto mai delicata per Orta di Atella, noi ci sentiamo in dovere di lanciare un appello a tutte le forze politiche del nostro territorio:
– Vogliamo fermare questi sciacalli che speculano sulle disgrazie cercando di raccattare qualche voto, promettendo soluzioni che in realtà non esistono?
– Vogliamo riscrivere un Piano Urbanistico fatto di alto impatto sociale, culturale e orientato al recupero delle aree degradate di Orta di Atella?
Ci siete a dare un segnale di discontinuità? Ma soprattutto, volete essere discontinui?
Noi ci siamo!
Vi aspettiamo sulla riva, del solito fiume, come sempre.

Per ritornare un paese normale, ci vediamo sulle barricate

La situazione politica e sociale di Orta di Atella ha bisogno, in questa fase quanto mai delicata, di trasparenza e atteggiamenti chiari e riconoscibili. Mai in politica si dovrebbe preferire l’accordo sottobanco ad un’intesa aperta e stipulata alla luce del sole, ma riteniamo che, in questo determinato periodo storico, questa esigenza sia ancora più urgente.

Tutti sappiamo cosa ha passato il nostro paese sotto l’aspetto finanziario, urbanistico e culturale e parlarne, per quanto qualcuno possa non concordare, non è né superfluo né stucchevole, ma è un esercizio di memoria che serve per costruire il futuro, avendo ben chiaro cosa non vogliamo essere e cosa non vogliamo più fare.

Non è nostra intenzione dividere Orta di Atella in buoni e cattivi, ma non ci si può chiedere neanche di dimenticare il passato con la filosofia del “Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”, perché noi sappiamo bene che “chi ha avuto” lo ha sottratto alla vivibilità e al patrimonio di un’intera cittadinanza. “Chi ha dato”, ha pagato un prezzo troppo alto.

Il nostro Collettivo ha un nome che è una dichiarazione politica: Città Visibile.

Ci chiamiamo così perché ispirati da un passo de “Le Città Invisibili” di Italo Calvino che parlando dell’Inferno quotidiano suggerisce due modi per uscirne. “Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più” e questo è quello che qualcuno ci invita a fare, “Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Questo il nostro manifesto politico, il criterio con cui ci predisponiamo anche verso le altre forze politiche per costruire un’altra città, una città normale, una città visibile.

Non possiamo avere nulla in comune con quei movimenti e laboratori politici che nascono dopo “serie e stringenti riflessioni” ma sempre e solo quando si profila la tornata elettorale ed hanno come obiettivo non quello di costruire ma quello di vincere. Non è giusto che questo paese dopo anni sia ancora orfano di proposte politiche e pieno solo di capi bastone e portatori di voti. Non è giusto per Orta di Atella, non è giusto per gli ortesi.

Non possiamo avere nulla in comune perché crediamo che la nostra Città abbia in sé ancora delle forze inespresse, abbia ancora delle capacità, sia fatta ancora da cittadini disposti a mettersi al servizio del popolo e non abbiano come ultimo scopo quello di servirsi del popolo.

Non possiamo avere nulla in comune perché crediamo che nella nostra Città ci siano ancora delle energie figlie di quella politica che preferiva l’interesse pubblico a quello privato, le idee e la sfida di una proposta politica ai voti che un singolo “signore dei voti”  possa portare in dote.

Non possiamo avere nulla in comune perché crediamo che il popolo ortese abbia la voglia e la necessità di fare una scelta politica chiara e culturalmente onesta e siamo convinti che la proposta che vogliamo costruire possa avere questi requisiti.

Non possiamo e non vogliamo avere nulla in comune con le “gioiose macchine da guerra”, ma vogliamo invece mettere in comune il nostro tempo e le nostre idee con chi voglia condividere con noi un percorso politico che vada oltre questa tornata elettorale e sia legato alle radici culturali di Orta di Atella.

Ci siederemo da persone libere con persone libere, per porre al centro la questione di un paese che prima di tutto va liberato da vecchie trame e da grigi suggeritori che per anni,senza mai esporsi, hanno sussurrato alle orecchie di chi amministrava.

Vogliamo costruire una forza inclusiva, che sia basata sulla politica e sulla credibilità delle persone. Non faremo questioni di lana caprina, a patto che si abbia come discriminante la messa in discussione dei modelli finanziari, culturali e urbanistici che fino all’ultimo PUC hanno spadroneggiato nella discussione amministrativa, con quelle forze che si prefigurano come continuità o addirittura ne vogliono raccogliere l’eredità. Contro questi alzeremo muri e verso queste persone non abbiamo altro da dire che “Ci vediamo sulle barricate”.

Da una parte della barricata

Esiste un momento in cui si tirano le somme.
Quel momento, specialmente in politica, arriva sempre. Prima o poi arriva, c’è solo d’aspettare .
E può essere imbarazzante, perché quando si tira quella linea, le prime cose che si vanno a misurare sono la coerenza e la conseguenza. E la dignità. Esistesse un Tribunale Speciale della Coerenza, della Conseguenza e della Dignità, ad Orta di Atella fioccherebbero le condanne. Una intera classe dirigente di traffichini, mestieranti e saltatori di carri dietro al banco degli imputati.
Ma si sa, quel Tribunale non esiste. Al massimo esiste nella coscienza di ognuno. O almeno così dovrebbe essere.
Non esiste un solo parametro, un solo indicatore di sviluppo che vede, in questi ultimi vent’anni, il segno positivo ad Orta di Atella. Certo, è aumentata la speculazione edilizia, il grado di commistione tra affari e politica, il livello di pervasività della camorra nella gestione della cosa pubblica, la tendenza a saltare da uno schieramento all’altro per mera convenienza, che fosse per una licenza edilizia o per un loculo al cimitero, poco importa.
Una transumanza. Gente che eletta da una parte si ritrova dall’altra. Altri che dopo anni di inettitudine si accorgono, con sgomento, che l’amministrazione è immobile “dedita ai propri affari anziché all’interesse collettivo”. Con l’unico piccolo particolare che chi parla, mentre parla, spesso, in quella amministrazione c’è ancora.
Orta di Atella come laboratorio del grottesco, come luogo incantato dove tutto si può dire e pure il suo contrario. Le parole in libertà vigilata. Ma il momento del redde rationem, del rendere conto, si avvicina. Potrebbe essere domani, tra una settimana, tra un mese. Poco importa, verrà.
E sarà il momento in cui alle parole sciolte dovranno seguire i fatti, gesti conseguenti, la coerenza del pensiero. Il farsi da parte principalmente. Sarà impossibile nascondersi, impossibile negare dove si è stati finora. Da quale parte della barricata. Perché sarà la barricata a distinguere gli uni dagli altri. Da una parte il passato, dall’altra il futuro. Da una parte la stagione grigia, vergognosamente arida, il tempo trascorso invano; dall’altra, “un tempo bellissimo, tutto sudato, una stagione ribelle”,o almeno la possibilità di immaginarlo così.
Da una parte la voce di vecchi padroni che richiamano vecchi lustrascarpe, dall’altra una ventata d’aria buona, una finestra aperta. Da una parte i correi, quelli che ci sono stati, poi no, poi si, poi senza incarichi, poi in dissenso, poi sono rientrati, poi assessori, poi, poi, poi. Dall’altra chi ha scelto da sempre la sua parte della barricata, quella dove si parla di una messa in discussione totale del modello di sviluppo edilizio di Orta, dove si parla di una grande stagione di beni comuni, di diritti e doveri, dove la piramide sociale, così come la conosciamo oggi, va rovesciata.
Il tempo della barricata è vicino. Anzi è arrivato. Arriverà pure il tempo dei tatticismi, delle piroette, del “non c’ero e se c’ero dormivo”. Ma quello non sarà il nostro tempo.

La caduta e il tempo perso

Era stato fin troppo facile per noi predire il ruolo irrilevante dell’amministrazione Mozzillo. Come, per la popolazione ortese, è stato fin troppo facile capire che il gioco della poltrona è stato mantenuto in vita finchè non si fosse definito con certezza il destino giudiziario, e di conseguenza politico, di coloro che hanno monopolizzato la vita amministrativa di Orta di Atella negli ultimi 20 anni.

 

Il Sindaco Mozzillo, eletta e sostenuta da quello stesso apparato politico che ha ridotto a brandelli il tessuto culturale e sociale del nostro paese, ha tentato in corsa un colpo di coda, forse perchè fulminato sulla via di Damasco, o magari mosso dal tentativo di ripulirsi politicamente. Insomma, ha cercato di staccarsi da quelle logiche tentacolari del “politichese” che lo avevano messo la, come riempi posto. Senza però dimostrare quel decisivo scatto d’orgoglio, necessario per rompere definitivamente con certe trame politiche.

Detto altrimenti, Mozzillo ha tentato di rompere con la vecchia politica rimando però nel calderone politico di sempre. Certe logiche ti rendono prigioniero se non te ne affranchi del tutto. E’ una questione di educazione civica, di cultura politica. Questa esperienza amministrativa non poteva che finire in questo modo, semplicemente perché, le logiche che l’hanno prodotta sono le stesse che ne hanno decretato la fine. Sono andati in onda le solite modalità di reperimento dei voti e i soliti “magheggi” consociativi, cose capaci di produrre solo rapporti di forza facilmente riconoscibili, di fruttare solo qualche faccia nuova. Non certo una cultura politica diversa, veramente alternativa rispetto a quella che tanti disastri ha provocato  ad Orta di Atella.

D’altronde, la storia dell’amministratore Giuseppe Mozzillo era già segnata : più che per il suo presente di Sindaco, lui deve rispondere per il suo passato da Assessore all’Urbanistica al tempo dello Scempio edilizio. E nessuno scatto d’orgoglio avrebbe mai potuto cancellare questo.

Ad Orta di Atella rimane l’esperienza di due anni persi. Un’eredità pesante per un paese che non ha tempo da perdere. All’alba di questo nuovo oltraggio fatto alla “buona politica” rimane  un deserto veramente sconfortante, con l’assenza di partiti veramente credibili e la sensazione concreta che il prossimo destino amministrativo  sarà deciso su quel tavolo dove già più volte è stato smembrato il corpo del nostro paese.

Di contro, c’è per i Cittadini, che hanno guardato con schifo a quest’altro triste spettacolo, la possibilità di diventare protagonisti di una nuova primavera, di farsi portavoci di un riscatto che da troppo tempo tarda ad arrivare.

Non esistono giudizi politici per quello che è capitato ad Orta di Atella negli ultimi anni, c’è solo il voltastomaco e la consapevolezza che nulla di buono può nascere in continuità a quello che è stato finora.  

Siamo realisti. Esigiamo l’impossibile

Sembrerebbe un ossimoro. Invece è la realtà. È quello che sentiamo.
Proprio perché siamo con i piedi ben saldi nella realtà nella quale viviamo, esigiamo quello che ormai da decenni appare impossibile.
La sua radicale trasformazione.
Trasformare Orta di Atella.
Trasformarne i rapporti sociali, svincolando l’essere umano dal favore, dalla riverenza perpetua, ancorandolo invece al concetto sacrosanto del diritto e del dovere. Con la sottolineatura di entrambi i termini.
Trasformarne l’etica politica, cancellando dal senso comune l’idea che “così fan tutti”, che non esiste un rapporto di conseguenza tra quello che si dice e quello che si fa, stabilire che il primordiale manifesto politico di un singolo e di un organizzazione è dato da come vive, da quello per cui si batte, da quello per cui lotta.
Trasformarne la percezione che ha di se stessa. Anche a costo di essere brutali. E dunque indagare perché qui si muore di più, come si chiamano le sostanze che ci uccidono, chi è rimasto a guardare. Inchiodare le responsabilità. Noi lo chiamiamo Progetto Veritas.
Trasformare Orta di Atella.
Da città invisibile a Città Visibile. Siamo nati per questo. No, no, nessun delirio di onnipotenza. La consapevolezza di un impegno, di un compito storico, quello si. Perché di quello si tratta e su quello vi invitiamo a darci una mano.

Non pensate che sia venuto il momento di prendere in mano il destino di questa terra, dei nostri figli, di scrollarsi di dosso la polvere di chi ha sempre delegato pensando non fosse cosa sua ed è stato umiliato e offeso?
Chiedere, indagare, fare l’inchiesta. Conoscere qual’è lo stato delle scuole ad Orta di Atella, capire come paghiamo l’acqua e a chi, come viene gestito il ciclo dei rifiuti e come poter tendere all’obiettivo della riduzione ai minimi termini di quello che buttiamo.
“Il futuro non è più quello di una volta” ha scritto un tempo Paul Valery, ed è una frase che torna, eternamente adattabile alle epoche che si succedono. Ma non è così che appare il futuro? Non appare come un gigantesco punto interrogativo? Come uno spazio che anzichè allargarsi si restringe fino a diventare un imbuto.
Va posta dunque la questione del futuro, e dentro di essa una grande, nuova “questione ortese”, nel tentativo di connettere una lettura globale della società devastata dal sistema economico e relazionale del capitalismo dei tempi nostri ad un “che fare” locale, ortese, fatto di “scarpe rotte eppur bisogna andare”.
Questa tessitura non può prescindere dalla Politica. Ma non quella che abbiamo conosciuto in questi anni. Quella di quelli buoni per tutte le stagioni, di trafficanti e traffichini. Un’altra politica.
Quella di chi si allea con il futuro.

L’urgenza non può più aspettare

Il fenomeno tristemente noto come “Terra dei fuochi” vede Orta di Atella come un paese totalmente partecipe. Non solo perché lo si è scoperto totalmente privo di quei servizi essenziali capaci di fornire soluzioni adeguate ai cittadini sulle problematiche ambientali, ma anche perché nessuna prevenzione è stata fatta in passato per impedire che le campagne di Orta diventassero una discarica a cielo aperto, una sorta di sversatoio indifferenziato in balia della pubblica inciviltà.
Amministrare bene una città significa innanzitutto conoscerne il territorio, ogni sua zona, ogni angolo della sua periferia.
Cosa che sembra ovvia, ma che è da ritenersi tutt’altro che scontata. Noi del “Collettivo Città Visibile”, abbiamo appurato l’inadeguatezza dei politici riguardo la conoscenza del territorio che amministrano quando gli abbiamo fornito la mappatura dettagliata di tutte le zone del paese a grave rischio ambientale. Noi siamo consapevoli di esserci dentro al problema, e il nostro impegno ha come unica finalità quella di porre un argine definitivo alla deriva ambientale che ha preso il nostro territorio. Dentro questo impegno c’è anche il tentativo di mettere gli amministratori di Orta di Atella di fronte all’imprescindibile responsabilità del fare.
Una cosa urgente da fare è iniziare ad agire concretamente, il tempo per i menefreghismi interessati è finito, occorre fare presto e bene.
Innanzitutto, bisogna circoscrivere prima e bonificare poi le aree a rischio, quindi, vigilare con tutte le modalità e gli strumenti possibili per evitare il ripetersi sistematico di tanto male fatto alla terra.
Come già accennato prima, una mappatura circostanziata sui siti sensibili l’abbiamo già fornita, coadiuvati da esperti in tematiche ambientali e avvalendoci della consulenza legale dell’ACU. Continuando lungo la strada tracciata, abbiamo spiegato al Sindaco perché è urgente iniziare l’opera di bonifica dei terreni e perché non si può più aspettare, fornendo indicazioni precise su quanto può costare il tutto e dove poter reperire i fondi.
Abbiamo offerto collaborazione civica insomma, invitando ad iniziare una politica del fare.
Siamo andati anche oltre, sollecitando gli amministratori a dotare finalmente il Comune di una carta dei servizi adeguata ai tempi.
Con la richiesta di un Tavolo Permanente, intendiamo ridare centralità politica ai servizi essenziali che l’ente Comune è tenuto ad erogare ai cittadini.
La risposta degli amministratori, fino a questo momento, si è ridotta ad un continuo tergiversare, che oscilla tra la buona volontà esternata a parole di trovare una soluzione tempestiva al problema ambientale, ed un’incapacità dimostrata a metterci realmente mano.
Noi continueremo per la nostra strada, trasformando, se sarà il caso, gli inviti a fare a degli obblighi d’indirizzo politico di cui dovranno rispondere di fronte ad alti organi istituzionali per gravi “inadempienze amministrative”.

Intervista a Gaetano Chirico Legale dell’ACU

Cos’è l’ACU ? Come si sta muovendo ad Orta di Atella ?
L’ACU – Associazione Consumatori Utenti – si propone di tutelare il cittadino consumatore, non come soggetto generico, ma come cittadino considerato a 360°, fruitore, cioè, di tutti quei servizi pubblici che gli devono essere erogati per legge. Proprio sulla base di questa ultima considerazione si è avviato una interlocuzione con il Sindaco di Orta di Atella – Giuseppe Mozzillo
Perchè ha deciso di supportare il Collettivo Città Visibile in questa azione ?
In seguito ad un incontro avuto in un convegno con Vincenzo Tosti, Presidente del Collettivo e attivista per l’ambiente, con il quale è poi nata una forte amicizia che ci ha portato ad iniziare una serie di battaglie legali non solo ad Orta di Atella.
Che disponibilità ha incontrato da parte dell’amministrazione comunale nel risolvere il problema ambientale ?
Sinceramente, non mi sento e non mi trovo nella condizione di potermi pronunciare in maniera definitiva al riguardo. Dopo quasi un anno dalla prima diffida ad adempiere rispetto al “Registro delle Aree soggette a sversamento” il Sindaco si è deciso ad avere un confronto con noi e solo in seguito ad una nota del Ministero dell’Ambiente da noi sollecitato. Da una parte ho visto un Sindaco propenso ad avviare un vero e proprio rinnovamento dall’altro questa propensione finora non è sfociata neanche in gesti, per così dire, simbolici. Quindi, dalla interlocuzione avviata, vedremo se si arriverà a dei risvolti positivi o si rimarrà nel campo delle chiacchiere vane.
Si resta in attesa.

Assalto respinto

Il dato certo, inoppugnabile, che emerge dal voto referendario di domenica scorsa è che l’assalto, probabilmente definitivo, da parte del Governo Renzi ad una Costituzione già “sofferente” e sempre in attesa di una sua piena applicazione è stato respinto, ed in proporzioni difficilmente preventivabili alla vigilia.

Certo, vi sono molte cose dentro quegli oltre diciannove milioni di no che hanno segnato la Caporetto di questo governo di saltimbanchi e trasformisti, ed una analisi più approfondita certamente andrà fatta. Quello che tuttavia si può già assumere come elemento valutativo è che, in un colpo solo, è stato respinto il tentativo di mettere mano alla nostra Costituzione e sono state bocciate le manovre iper-liberiste di questo governo, che in un paio di anni è riuscito, con la precarizzazione totale del lavoro e l’affossamento definitivo della scuola pubblica, dove nemmeno la peggiore stagione berlusconiana, di cui peraltro questo governo è figlio illegittimo, era riuscita.

Il NO ha vinto praticamente in tutta Italia, ha stravinto tra i giovani, a dimostrazione che gli espedienti retorici di Renzi si sono schiantati sulla realtà dei voucher e dello sfruttamento sistematico di chi si approssima ad entrare nel mondo del lavoro. Nel Meridione il dato è ancora più netto ed assume un senso preciso se si pensa che il PD ne governa tutte le regioni. Una volta di più una insofferenza manifesta, ed esplosa fragorosamente, nei confronti delle politiche del Governo Renzi, che ha dirottato fondi al Nord lasciando le briciole al Mezzogiorno (tanto per fare un esempio: ferrovie 98%; università 85%).

Una riflessione specifica, seppur breve, merita il risultato maturato ad Orta di Atella, dove ha di fatto assunto proporzioni larghissime a favore del NO. Il Collettivo Città Visibile, da sempre schierato per il NO, ha favorito e promosso, non solo ad Orta, ma anche a Succivo, Sant’Arpino e Cesa, la nascita dei Comitati per il NO ed è stata l’unica forza politica, insieme al Movimento 5 Stelle a schierarsi a viso aperto e limpidamente contro la Riforma Boschi-Renzi-Napolitano.

Un risultato per nulla scontato, se si considera che dall’altra parte, schierato per la Riforma c’era praticamente tutto il panorama politico ortese. Impegnato in effetti in riposizionamenti, valutazioni sul dove si sta più al caldo domani, scommesse sui futuri cavalli vincenti e oin improbabili ed oscene evoluzioni verbali, ma tutto schierato per il SI. Con la particolarità del Partito Democratico, diviso in due per colpire unito con la componente caputiana degli iDem, che si è spesa ed esposta non poco; e poi il Partito Socialista; Deluchiani e amanti delle fritture di pesce; Balene Bianche e quasi tutti gli amministratori, Sindaco in testa, pure lui in cerca d’autore.

Ovviamente nessuno, tra noi, sogna di intestarsi gli oltre 8.500 voti espressi per il NO. Stessa cosa, immaginiamo valga per il Movimento 5 Stelle. È evidente che, nello specifico della realtà ortese questo è stato un voto di popolo, che ha travalicato gli steccati (peraltro piuttosto scorrevoli) dei partiti e ha rifiutato l’idea dell’uomo solo al comando. E proprio in questo dato vi è tutto il simbolismo che assume questo voto a Orta di Atella. Un risultato straordinariamente  significativo per un popolo, come quello ortese, che è ancora lì a leccarsi le ferite provocate  dalla retorica dell’uomo solo al comando dalla quale hanno attinto a piene mani gli amministratori di ieri che poi sono gli stessi di oggi.. Questo è un dato che da speranza!

E se è vero che l’assalto che è stato respinto domenica non restituisce molto in termini di costruzione di quella alternativa che con fatica stiamo praticando anche nel nostro paese, è altrettanto vero che ci dice che esiste un popolo che vuole tornare a partecipare, che vuole provare a respingere l’idea di una classe politica che vuole esercitare il potere per il potere.

È guardando a questo popolo che, da domani riprenderemo come Città Visibile a tessere quel filo rosso che unisce associazionismo, militanza, sindacalismo di base e tutte quelle esperienze che si sono unite per un NO Sociale a questo Referendum.

Festeggiamo questa vittoria, dunque, ma nella consapevolezza del domani duro, di lotta e di lavoro, che attende tutti noi.

In morte di Fidel Castro. Rivoluzionario.

Nei tempi in cui viviamo, dove non si nega a nessuno la possibilità di tracciare bilanci e promuovere o bocciare esperienze che hanno cambiato la storia; dove un Saviano qualsiasi può esprimere liberamente le sue enormità da intellettualoide tuttologo esperto in decontestualizzazioni e luoghi comuni, proviamo anche noi, come Collettivo, come uomini e donne che stanno insieme nella pretesa, in sè fisiologica e assurda, di modificare l’esistente, a raccontare cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta, per noi Fidel Castro.
Nessuno di noi appartiene a quella generazione che ha vissuto coscientemente la Rivoluzione Cubana, ma ognuno di noi ha letto, magari di notte, di quando Fidel, Ernesto e Camilo guadagnavano metri e speranza sulla Sierra Maestra. Ed ognuno di noi si è emozionato per quel testardo e insopprimibile anelito di giustizia e di libertà che lentamente andava riaffermando l’autodeterminazione dei popoli, e in un tutt’uno, spazzava via il concetto che un piccolo paese potesse essere il bordello di un grande paese. Siamo cresciuti contando le volte che gli Stati Uniti hanno cercato di assassinarlo, Fidel, ma Fidel ogni volta nasceva di nuovo, e tutte le volte che a Cuba non arrivavano libri, medicine e bulloni per via di un embargo che ogni anno, per più di cinquant’anni, hanno votato Stati Uniti, Israele e Micronesia. E Cuba è rimasta lì, e ha resistito.
Ridurre la vicenda di Fidel nel recinto della Guerra Fredda è fuorviante, è un espediente utilizzato dai suoi critici, quelli che hanno tentato in tutti i modi ed in ogni luogo di etichettarlo come filosovietico, epigono tropicale dei socialismi reali dell’est europeo. Niente di tutto questo. Certo, da comunista, da antimperialista, tra Stati Uniti e Unione Sovietica aveva ben chiaro da che parte stare, ma Cuba non è crollata nel 1989, e son passati ventisette anni.
Ha rappresentato un riferimento per tutto il continente latinoamericano, Fidel Castro, anche per chi ha rifiutato di adottarne il modello, come Salvador Allende, ma perseguiva lo stesso fine, il socialismo. È stato un riferimento per tutti quei popoli, dal Venezuela al Cile, dalla Bolivia al Nicaragua, dall’Argentina al Salvador che, in tempi diversi hanno tentato di uscire dal corile di casa degli Stati Uniti. Ma è stato un riferimento anche per noi quaggiù, almeno per quelli che non si arrendono alla dittatura del capitale e non ritrovano in questa Europa opulenta ed ottusa che sta morendo di neoliberismo ed ipocrisia. Quella Europa che s’indigna per i balseros cubani ma poi respinge quelli che attraversano il mare per sfuggire alla fame e alle guerre che lei stessa fomenta. Ah la democrazia!
È stato un modello ed un compagno di lotta per Nelson Mandela, il quale più volte affermò, come ben ricorda Gennaro Carotenuto, che senza la Rivoluzione cubana, senza la volontà politica di Fidel Castro, senza il sangue di migliaia di combattenti cubani, oltre che degli angolani dell’MPLA di Agostinho Neto, delle milizie armate del suo African National Congress e dei namibiani della Swapo, l’apartheid non sarebbe finita. L’apartheid non finisce perché finisce la guerra fredda o per un atto lungimirante dei buoni razzisti come in Occidente piace pensare, ma perché fu sconfitto militarmente a Cuito Cuanavale, nella più grande battaglia campale in territorio africano dalla fine della seconda guerra mondiale. I cubani vi svolgono, tra la fine dell’87 e l’inizio dell’88, un ruolo decisivo e lì si aprono le porte del carcere dove il “terrorista” Mandela era sepolto da oltre un quarto di secolo. Per Cuba, per Fidel, l’internazionalismo e la lotta al razzismo non erano parole.
Un dittatore. Così i custodi dei diritti democratici definiscono oggi Fidel. Satana, si legge sui cartelli sventolati a Miami da qualche centinaio di esuli cubani, molti dei quali stampano fogli di propaganda pagati dalla CIA. Rivoluzionario, diciamo noi. Con le contraddizioni e le ombre che ogni rivoluzionario, storicamente, porta con sè.
Ma un rivoluzionario, questo è stato Fidel. È stato detto che ha represso la Chiesa Cattolica, ma ben prima dello storico incontro con Wojtila, che in quegli anni peraltro si incontrava pure, ed amichevolmente, con Augusto Pinochet che i dissidenti li sventrava e li lanciava in mare aperto, aveva riaperto gli spazi di libertà religiosa come ampiamente riconosciuto dal Cardinale primate Ortega, che da anni dichiara di non avere alcun conflitto da lamentare con la Rivoluzione. Questo mentre centinaia di religiosi formatisi sull’onda lunga del Concilio Vaticano II e della Teologia della Liberazione, venivano assassinati, non a Cuba, ma nel resto del continente, come Óscar Romero, con il Vaticano che solitamente volgeva altrove il suo ecumenico sguardo e qualche volta giocava a tennis con i carnefici, vedi Pio Laghi con Massera, in Argentina.
Ombre, certo. A Cuba, specie negli anni settanta, vi sono stati costantemente alcune decine e in alcuni periodi alcune centinaia di prigionieri politici. Ma sono poca cosa rispetto a quelli detenuti senza alcuna incriminazione a Guantanamo, alcuni ormai da 15 anni. Certo, pure un solo prigioniero politico è troppo ma fa male ai custodi degli spiriti democratici dover ammettere che non esiste un solo paese del continente americano, Canada escluso, Stati Uniti inclusi, dove i diritti umani siano stati violati meno che dalla “dittatura” cubana in questi 57 anni.
Strano dittatore dunque, questo Fidel Castro. Prendendo ancora una volta in prestito i concetti espressi da Gennaro Carotenuto, è stato il dittatore di quell’unico unico paese del continente americano che non ha conosciuto il termine desaparecidos. Centinaia di migliaia di persone sono state fatte sparire nel frattempo da dittature e democrazie filoamericane praticamente in tutto il continente. “È triste pensare che solo la dittatura di Fidel Castro abbia fatto da argine al crimine contro l’umanità della sparizione forzata di persone e del terrorismo di stato. Senza libertà di stampa, Cuba è pur sempre l’unico paese al mondo dove non è mai stato ammazzato un giornalista. E neanche un sindacalista, laddove in paesi come il Brasile, il Messico, la Colombia ne cade senza rumore uno al giorno”. Diecimila bambini al giorno muoiono di fame, nel mondo, ogni giorno. Nessuno di loro è cubano. Neanche un bambino, infatti, è più morto di denutrizione nell’unico paese che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è libero dalla denutrizione infantile in un continente colmo di terre fertili e acqua potabile ma dove la fame resta una piaga.

E allora vai caro Fidel. Abbiamo sperato insieme a te, cercando di intravedere anche noi, quaggiù, una strada, un sentiero che ci conducesse verso un altro mondo possibile. E sappiamo che c’è, che è possibile. Fosse anche solo per questa consapevolezza, che hai contribuito a formare in milioni di uomini e donne in tutto il mondo, compreso quel punto cementificato e offeso che porta il nome di Orta di Atella, bè, fosse anche solo per questo, stai sicuro Fidel, che si, la storia ti assolverà.

Malapolitica porta a Malascuola. Cronaca di come si uccide il futuro.

Molte strutture non sono a norma, molte sono vecchie. Quelle nuove sono nate già vecchie. Gli ultimi allarmi che gettano ancora sale sulla ferita della carenza strutturale, di un servizio quasi mai degno di uno Stato che si definisce di diritto. A Orta non è cosa. A Orta non è Stato.

E bene fa la minoranza ad incalzare su questa realtà, nonostante l’interessamento sia strumentale ed ogni argomento, ogni problema assume i contorni di una resa dei conti tra vecchi alleati. Bene fa pure la maggioranza, a rassicurare i cittadini ed effettuare i sopralluoghi, anche se alla rinfusa e senza alcuna autocritica che pure s’imporrebbe doverosa dal momento che l’attuale sindaco è stato responsabile dell’edilizia scolastica anche nei decenni passati. Ovviamente fanno bene i genitori a preoccuparsi e a pretendere certezze e garanzie.

Ad Orta evidentemente tutti fanno bene, ma solo la politica può restituire un quadro chiaro della situazione. La politica: questa sconosciuta. La politica intesa nelle sue declinazioni di responsabilità e di programmazione. La responsabilità è quella che questa amministrazione deve assumersi insieme ai propri dirigenti e tecnici nel momento in cui decide di tenere aperta una struttura pubblica; la programmazione è quella che si pretende nella pianificazione di quegli interventi che sono ormai necessari e chissà se sufficienti a rendere “certificabili” gli istituti.

Nulla più e nulla meno rispetto a quello che detta la Costituzione Repubblicana, oggi così tanto amata che molti vorrebbero sfasciarla. Per cui deve essere garantito a tutti un livello di istruzione il più possibile qualitativamente e culturalmente omogeneo nel territorio nazionale.

Cerchiamo di essere chiari: se è vero che non si possono chiudere edifici scolastici che versano nelle stesse condizioni di sempre senza nessun evento rilevante da giustificare misure di emergenza, interrompendo l’anno scolastico di 3.000 alunni, è altrettanto vero che non si può pretendere che nel momento in cui un Tecnico Comunale certifica l’inagibilità di queste strutture si resti immobili facendo finta di niente. Praticamente siamo in attesa dell’evento rilevante.

Non è moralmente e politicamente accettabile restare nella condizione del non volersi assumere la responsabilità tecnica e politica dell’agibilità delle scuole e contemporaneamente non provvedere ad una programmazione degli interventi da effettuare con date certe e con una gestione trasparente da portare a conoscenza della cittadinanza.

Non c’è più tempo, le scorciatoie sono finite. Il Consiglio Comunale del prossimo 18 novembre rappresenta l’ultima occasione per i nostri amministratori per dimostrare di avere un minimo interesse a quello che abbiamo in comune loro malgrado: i ragazzi, il loro diritto allo studio, la loro sicurezza, il loro futuro.

Il sindaco e l’assessore di riferimento relazionino su come intendono intervenire sulle strutture; forniscano una programmazione seria con date certe sugli interventi. Diano il senso di aver finalmente assunto la gravità della situazione e la necessità di uscirne attraverso l’assunzione delle proprie responsabilità passate e di quelle, giocoforza, future.

Non ci si chieda però di sopravvivere anche a questa situazione così com’è, perché non lo accetteremo. Perché a tutto c’è un limite. Perché su questa vicenda il limite ce lo siamo già lasciati alle spalle.