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Lettera accorata e aperta alle Commissarie

Rivolgiamo questa lettera alle Commissarie che saranno pure prefettizie, ma pure un poco del popolo

Occorre restare a casa.
Come segno di responsabilità pubblica. Come atto di civiltà.
Non ci sono alternative a questo stato delle cose. Lo impone l’emergenza del momento, che ci chiede tutti di fermare la contagiosità del virus, di ridurre al minimo la possibilità di fornirgli nuovi ospiti.
Ma è proprio nella mancanza di alternativa che si evince tutta la tragicità di questo momento storico, nel fatto che nel mentre si chiede a chiunque di fare la propria parte in nome della salvaguardia della salute pubblica, ognuno di noi ha accettato di mettere in deroga l’esercizio ordinario di altri diritti fondamentali.

In questo quadro emergenziale, Orta di Atella è diventato, suo malgrado, l’emblema che esistono due poli opposti nella gestione dell’emergenza in corso tra gli enti locali: da un lato l’onnipresenza di chi, facendo leva sulle paure collettive, ha gioco facile nel far prevalere il seducente ruolo del condottiero coraggioso; dall’altro lato il silenzio assordante della terna commissariale che da qualche mese regge le sorti amministrative del nostro paese.
Come dicevano i latini, quasi sempre la virtù sta nel mezzo, e questo dovrebbe essere l’auspicio migliore soprattutto in tempi di estrema criticità sociale come questo, quando sarebbe da ricercare più la sponda sicura determinata da una presenza istituzionale certa, che il vuoto pneumatico che rischia di alimentare il cicaleccio continuato dei novelli untori.
Ora, noi non chiediamo, e non vogliamo, figure che con fare da sceriffo facciano (finalmente) sfoggio del loro lato più autoritario scambiando gli inviti ad assumere comportamenti responsabili fatti a dei cittadini, con i diktat da elargire a dei sudditi.
Noi alle commissarie chiediamo semplicemente di esserci, di fungere da presenza istituzionale riconosciuta e riconoscibile. Questo è iscritto in calce nel ruolo che rivestono, e questo è reso ancora più urgente e doveroso dal motivo stesso per cui sono i gestori transitori del governo del paese: lo scioglimento per “infiltrazioni camorriste” della passata amministrazione.
Al vuoto scaturito dallo scioglimento della giunta comunale, segno tangibile di un’anormalità di fatto nella gestione della cosa pubblica, non può seguire un vuoto che, comprensibilmente dato il momento, suonerebbe ancora più inspiegabile.

Perché Orta è un paese di 27.000 abitanti e la gestione del suo territorio, in un periodo in cui alle persone si chiede di uscire solo se strettamente necessario, non può essere demandata all’esercizio remoto delle vostre prerogative istituzionali.

Perché ad Orta ci sono tante famiglie che versano in condizioni di oggettiva difficoltà, e sarebbe bene gestire gli aiuti partendo dall’indirizzarli effettivamente verso chi ne ha veramente bisogno (perché non supportare l’azione lodevole dei preti che hanno questa situazione ben monitorata?)

Perché è necessario lanciare ai cittadini un messaggio chiaro, che non sono soli, che c’è chi si occupa di scongiurare lo sbando, che esiste un’entità amministrativa pronta ad ascoltare chi avverte l’urgenza di farsi sentire. E anche per ridurre al silenzio le tante cicale in libera uscita, che parlano e speculano su tutto tirando a campare con irriverente mancanza di pudore.

Non chiediamo né acrobati né mangiatori di fuoco, semplicemente una gestione dell’emergenza ispirata alla collegialità, proprio poiché non vi è un governo eletto dal popolo. Uno sforzo non impossibile.

Care commissarie, solo questo: siate un po’ meno prefettizie ed un po’ più del popolo. A futura memoria.