LA STORIA
Un insegnante, in procinto di partire per Budapest, legge sul giornale la notizia della brutale uccisione di un ragazzo originario della provincia di Napoli. La sua tragica fine sembra l’epilogo inevitabile di un destino già segnato. L’insegnante resta sconvolto dalla ricostruzione cruenta dei fatti; il solo pensiero di quella morte lo perseguiterà durante tutto il suo viaggio in Ungheria: e se il ragazzo in questione fosse stato suo alunno? Così pagina dopo pagina prende corpo l’indagine dell’insegnante che metterà a nudo la personalità di quel ragazzo sconosciuto cercando di recuperarne la purezza e la genuinità perduta.
“A piedi nudi sull’erba fina” si presenta sotto forma di diario esistenziale caratterizzato da tratti marcatamente psicologici e un’impronta investigativa tipicamente noir: l’autore ci porterà alla scoperta di un nuova dimensione narrativa guidandoci in una discesa agli inferi da cui sarà difficile restarne illesi. Il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato diventa impercettibile e la verità si presenta agli occhi del lettore sotto molteplici forme, quasi mai riconoscibili e non sempre piacevoli.
Quello di Massimo Russo è un romanzo che si legge tutto d’un fiato grazie ad uno stile asciutto e scorrevole e che costituisce l’ossatura di una trama avvincente, dai risvolti dolci e amari al tempo stesso. Un viaggio attraverso l’indagine psicologica che esplora la condizione umana imponendoci una riflessione profonda sulla condizione giovanile il più delle volte ignorata o sottovalutata. Una lettura che rimane impressa nel cuore e nella mente del lettore e che sarà difficile dimenticare.
L’AUTORE
Massimo Russo è nato a Capua e vive a Roma da diversi anni. Psicologo, esercita la professione di insegnante. Nel 2001 ha pubblicato, con una presentazione dell’illustre scrittore e saggista partenopeo Michele Prisco, la raccolta di racconti “La casa nuova” per Marotta & Cafiero Editori. “A piedi nudi sull’erba fina” edito da LFA Publisher è il suo brillante esordio da romanziere.
ESTRATTO
<< All’inizio della mia carriera di maestro elementare ho insegnato per cinque anni a San Gabriele. Città dell’hinterland napoletano, a ridosso della provincia di Caserta, da cui purtroppo provengo, che non rivedevo da oltre sette anni. Contatti persi o smarriti, nessuna occasione più di ritornarci, se si esclude quella avuta un paio di anni dopo essermene andato, quando un impiegato della segreteria mi telefonò per chiedermi se andavo lì a prendere un assegno con un piccolo compenso per una mansione svolta negli anni precedenti o volevo che me la passasse direttamente sul conto bancario. Inutile dire che scelsi la seconda opzione. Perché? È che se c’è una cosa che mi rattrista è quella di fare il resoconto della mia vita a persone che conosco e che non rivedo da anni.
Chi è Roberto Buonanno? Un nome qualsiasi, certamente non un mio alunno. Di Buonanno a San Gabriele ce ne son tanti, e io stesso ne avevo avuti almeno tre, ma quello no: come ogni buon maestro me ne sarei ricordato.
Ettore mi chiamò mentre cercavo di rammemorare eventualmente quel ragazzo e mi venivano alla mente, invece, i ricordi dei miei anni sangabrielesi. Di morti, in questo paesone della camorra, se ne son contati tanti, mentre ci lavoravo e dopo che sono andato via. Compreso il fratello di una mia ex-alunna, finito sotto al treno mentre giocava con gli amici sui binari un pomeriggio. Però questo invisibile Roberto, per la giovane età e per come era morto, mi aveva lasciato una lettera chiusa dentro l’animo, che avrei aperto solo al mio ritorno da Budapest. >>