Città Visibile Logo

Il taccuino del Comandante

Abbiamo sognato. Abbiamo gioito. Abbiamo pianto. Abbiamo sperato. Abbiamo lottato. Abbiamo perso.
E qualcuno ha alzato la coppa per noi.

La parabola di Maurizio Sarri è un qualcosa che non può essere spiegato, un sentimento profondo incancellabile, una storia che vale la pena di raccontare ai nostri figli e ai figli dei nostri figli affinché il ricordo dell’impresa resti vivo nella memoria.

La biografia personale parla chiaro: dai campi della periferia italiana, dove la polvere diventava fango misto a sudore, il “Comandante” è arrivato a Stamford Bridge, lì dove il calcio è stato inventato, ed ha vinto, non prima di essere passato per il San Paolo, dove calcio e amore parlano la stessa lingua.

Eppure la parabola professionale di Maurizio Sarri in scarpette da ginnastica e tuta da allenatore non può essere scissa da ciò che Sarri “uomo” ha rappresentato per un’intera comunità di tifosi: grazie alla sua spinta di umiltà, di sacrificio e di duro lavoro tipici di quella classe lavoratrice su cui si regge il nostro Paese, possiamo dire di aver imparato la lezione e di aver capito cosa scrivevi su quel benedetto taccuino.

Ed è grazie a questa spinta vitale fatta di idealismo romantico che la teoria si reinventa e si trasforma in prassi ed organizzazione del lavoro: il bel gioco a lungo andare paga e l’azione si trasforma in goal da togliere il fiato. Siamo di fronte a quell’ideale di armonia, di bellezza, di purezza e di perfezione che solo il possesso palla asfissiante o la ripartenza fulminea in contropiede sanno regalare. E non c’è catenaccio o marcatura a uomo che tenga: roba da far sciogliere il sangue a nelle vene. E se il cuore batte a mille arriveremo vivi solo per miracolo fino al 90’ per festeggiare la vittoria non di una semplice partita bensì di qualcosa di molto più grande, la realizzazione di una visione, di un piano grandioso che restituisce al calcio il motivo della sua esistenza: il grande spettacolo che ci hai regalato non è che il trionfo del sentire collettivo del calcio popolare.

Perché è nel rettangolo verde che si giocano le partite decisive, né nei circhi (quelli mediatici) e nemmeno nelle stanze d’albergo. La rivoluzione non si arresterà finché ci sarà un ideale per cui lottare e una storia da raccontare fatta di orgoglio, di duro lavoro e di coraggio, qualunque sia il colore della maglia, perché ciò che conta nel gioco del calcio non è la vittoria, e nemmeno la sconfitta, ma gioire di fronte alla bellezza.

Noi facciamo parte di quella schiera di uomini e di donne che hanno rispetto del lavoro altrui e ringraziano quell’uomo che nell’alzare la coppa al cielo ha ricordato quelle emozioni che abbiamo vissuto e condiviso insieme per tre lunghi anni. Tocca a noi portare avanti quel sogno rivoluzionario, anche da orfani, perché abbiamo imparato la lezione.

Quelli che un tempo erano gli allievi adesso sono cresciuti e sono pronti a superare il proprio maestro per sconfiggere gli avversari: la marcia verso la conquista del Palazzo non si è mai fermata.

HASTA SIEMPRE COMANDANTE