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Come cosa bellissima

Ciao Pietro. E grazie per averci insegnato a praticare il dubbio.

«Non sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso». Con queste parole, Pietro Ingrao, rivendicava il diritto al dissenso al XI Congresso del Partito Comunista Italiano, nel 1966. Ha sempre praticato il dubbio, Pietro, e lo rivendicava come sua principale virtù. Fu comunista atipico, eretico, ma aveva una concezione quasi sacra del Partito, “lo strumento”, e dunque non praticò mai lo scisma.

Aveva la capacità di uscire dalle stanze di Botteghe Oscure e di stare tra le persone, con gli operai e con i giovani, verso cui aveva sempre grande attenzione. Fu icona, tra anni 70 e 80, di quelli, giovani e meno giovani, che individuarono in lui la speranza che il PCI potesse rinnovarsi, e innovarsi. Seppe sempre stabilire, per dirla con Gramsci, una “connessione sentimentale” con il suo popolo. Fu partigiano, direttore de L’Unità, deputato, Presidente della Camera. Amava il cinema e la poesia, che pure praticò nel tempo lasciatogli dalla politica.

Voleva la luna, Pietro Ingrao. Era un’inclinazione, un anelito. Nei tempi magri che viviamo è questa la sua lezione: pensare alla politica come ad una inclinazione, un anelito di trasformazione e non a gestione, amministrazione di ciò che esiste. Aveva molti rimpianti, Pietro. Primo fra tutti l’aver firmato l’editoriale de L’Unità nel quale, in quell’indimenticabile 1956, scriveva “Da una parte della barricata. A difesa del socialismo” in difesa dell’invasione sovietica dell’Ungheria. Non se la sarebbe mai perdonata. O ripensando all’espulsione dei compagni del Manifesto, del quale era considerato una sorta di padre putativo. Con loro mantenne poi un rapporto molto fecondo, con i vari Lucio Magri, Rossana Rossanda, Luciana Castellina, Luigi Pintor, che continuarono a vederlo come un riferimento, politico ed intellettuale.

Aveva, negli ultimi anni della sua vita centenaria, l’assillo dei giovani. Continuamente li ha invitati a non chiudersi nel disinteresse, ad interessarsi, a partecipare, perché in fondo lui ha sempre pensato che la politica fosse una cosa bellissima e non qualcosa da cui tenersi alla larga. Il suo era un invito e al tempo stesso una speranza: «Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme. Decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte e dalle passioni del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro».

Noi, che cerchiamo quotidianamente uno spiraglio, le forme possibili per incidere e trasformare l’esistente, ti portiamo con noi, caro Pietro, nella testa e nel cuore.

Ti teniamo in serbo come cosa bellissima.