Buon anno Orta! Sei viva. E lotta insieme a noi.
Anno buio. Come quelli che lo hanno preceduto. Anno di commissarie, come quelli che lo hanno preceduto. Anno di ignobili cadute di stile di chi avrebbe dovuto avere a cuore, in questo anno funesto, le sorti di ognuno di noi, in quanto ortesi, in quanto esseri umani.
Un anno bislacco, pieno di parole abusate, di intelligenze umiliate ed offese. Pieno pure di travestimenti, di sproloqui quando l’onda è alta e di assordantissimi silenzi quando l’onda cala e si va col muso sulla sabbia.
Pure un anno di apprendistato, di inchiesta, di conoscenza. Per chi questa malandatissima Orta vuole cambiarla, o meglio, per quelli che vogliono restituirgli la dignità perduta. La consapevolezza di aver seminato bene il campo ma pure la certezza che questo campo è ancora troppo piccolo, che no, non basta, non li abbiamo ancora sognati tutti i sogni del mondo.
L’Orta che verrà. Chissà. Certo non questo abominio, non questa vecchiaia dentro, questo andar bene per ogni stagione. No, no. Nemmeno i coltivatori diretti di voti o quelli indiretti di deleghe e incarichi. Non il vuoto a perdere e nemmeno il vuoto pneumatico della politica politicante. Magari una finestra aperta, un po’ di aria che entra, acqua che cammina, sennò fa pantano e fete.
Come mi vuoi? Ce lo grida, Orta. Sola ed isolata, rivoltata, insudiciata. Respira un po’, Orta. Lo dice ad ognuno di noi, prima il singolo e poi il collettivo, con l’imperativo categorico di diventare collettivo, decine anziché unità, centinaia invece che decine, migliaia piuttosto che centinaia.
Buon anno Orta, tieniti su. E stanotte quando metterai a dormire i tuoi anni bui pensa che non deve essere così, che può essere in un altro modo. Che la storia non è solo letame e che dal letame nascono i fiori.
Come mi vuoi? Tu chiedi. Cosa mi dai? Ti hanno sempre risposto. No, no. È finito questo tempo. Questo è l’impegno, la promessa, l’anelito: costruire il tempo nuovo, quando ad una domanda si risponde con una risposta, non con un’altra domanda.