Sempre, nei giorni in cui giravo per Orta nella preparazione di questa serie di dipinti e foto, mi veniva in mente un’affermazione recita così:
L’Urbanesimo accentua il sottosviluppo del Cittadino e lo rende più incline al Consumo.
L’urbanesimo sfrenato di cui siamo vittima mi appare come qualcosa di estraneo al vecchio centro storico, un monumento all’amnesia che annienta la nostra memoria storica e genera una specie di cittadino straniero alla terra in cui vive. Nello stesso tempo, svuota gli indigeni di quel senso di appartenenza che è peculiarità della qualità della vita collettiva.
Un enorme blocco che ha trasformato la nostra città, ne ha cambiato la forma, oscurato la luce, sbiadito il colore. Mi appare questo nuovo spazio urbano come un non spazio, in cui vige l’assenza di limiti, dove il cittadino che vi abita è solo e diventa l’archetipo di quella omologazione pasoliniana che ha ispirato il mio progetto.
Un non spazio di cui non riesco a immaginare il colore, per questo l’ho dipinto e l’ho fotografato in bianco e nero. Né mi interessa se le foto sono prive di espressione: ho solo voluto attraverso esse documentare la degradante realtà che mi circonda. Mentre nella rappresentazione del centro storico ho cercato di imprimere sulla tela e nelle foto l’immagine di quei colori che la mia terra mi rimanda dal passato, e che mi sognano davanti agli occhi, come un orgia di rossi, di arancio e di gialli che si adagiano nel grano quando felice e stanco tornavo dall’Astragata.
Credo che un programma alternativo a questo (sotto)sviluppo senza limiti sia imprescindibile, quello che Pasolini amava chiamare “l’opera collettiva di un popolo” e che noi possiamo riconoscere in molti scorci del nostro centro storico, riconoscerla e difenderla alla stessa stregua con cui difendiamo l’opera d’arte di un grande autore.