Quando viene a mancare un personaggio dello spessore così caratterizzante per un periodo storico come Diego Armando Maradona, un fuoriclasse sublime dello sport di gran lunga più popolare del mondo, si è come naturalmente spinti a fare un resoconto della propria esistenza, a mettere in una sorta relazione generazionale il come si era, il come si è stato e il come si sarà.
A noi del Collettivo Città Visibile ha dato anche lo spunto per ragionare intorno ad una sempreverde attitudine umana, quella che rifacendosi alla morale tipicamente borghese dei “vizi privati e pubbliche virtù”, ha offerto a molti l’occasione di darsi ad una gratuita esibizione di cattiveria nei riguardi del vissuto di Maradona. Non perdonandogli che i vizi privati di un idolo delle masse venissero così pubblicamente esibiti dalla genuina verità del suo corpo malmesso.
Certo, può apparire sospetto anche il voler salire di corsa sul carrozzone delle pubbliche celebrazioni messo ostentamente in mostra da taluni, ma lasciarsi semplicemente coinvolgere dall’onda emotiva planetaria è molto meglio dell’aver perso l’intelligente occasione di fare silenzio.
Perché una cosa che forse mai riusciremo a capire fino in fondo è il perché, nel parlare di Diego Armando Maradona, chiunque si è sempre arrogato il diritto di giudicare l’uomo. “Come calciatore non si discute, ma come uomo …”. Sempre questo si è detto, una specie di refrain che ci è sempre parso come un’indebita ingerenza nella vita altrui. Fondamentalmente perché, ed è bene sempre sottolinearlo, tutti gli eccessi di quella vita, hanno prodotto male solo a sé stessa, e a nessun altro. Ecco, quell’equazione non la si è mai sentita applicare a qualcun’altro, non si è mai sentito mettere in risalto la condotta di vita non proprio “irreprensibile” di un qualsiasi talento creativo (e solo nei diversi campi dell’arte l’elenco sarebbe lunghissimo) dando mostra di provarci gusto nel volerne offuscare la bellezza.
L’etica che non dà gli giusti spiragli alla sregolatezza rischierebbe di ingrigire a monte il ruolo vivifico che il genio creativo dovrebbe poter seminare sulla terra. Così come la regola che non conosce la sua eccezione sarebbe come un qualsiasi prodotto della creazione umana che non può sperare nel felice apparire dell’imprevedibile.
Maradona ci ha ispirato in tutto questo considerare, ma per condurci oltre il suo genio calcistico, fino alla sua potenza iconica e alla sua comprovata attitudine ad imprimersi nell’immaginario collettivo con naturale semplicità. E allora ecco emergere prepotente la sua indole rivoluzionaria, che disorganica e incostante quanto si vuole, ha saputo dare una voce a quello che rimane a livello planetario dell’esplicita e autorevole condanna ai “poteri forti”. Probabilmente c’è molta inconsapevolezza in questo tratto essenziale della personalità di Maradona, ma è un’inconsapevolezza che nasce tenera e sincera, istintiva come conviene al bambino che è in lui, sempre a rincorrere il suo divertimento preferito. Con quel carico di santa ingenuità che ti fa dire basta solo quando hai assaporato fino in fondo il gusto amaro delle rinunce.
Ma è il corpo che ti inchioda, che ti dice di aspettare prima di salire sul carro delle banali maldicenze. È quel corpo sfatto a gridare dai rimasugli della lotta contro la retorica di maniera. A chiedere di essere usato per dedicarti qualche riflessione sullo stato delle cose. È quel corpo che non somiglia neanche lontanamente all’ombra del fuoriclasse a ergersi con naturale baldanza contro ogni forma di ipocrita e rassicurante moralismo. Perché quel corpo non nasconde le colpe, ma le mette in fila una ad una ; perché quel corpo non elemosina perdoni per gli sbagli commessi, ma intende farne mostra con tutta la verità che gli compete. Perché un corpo che mostra senza veli le cicatrici delle proprie scelte è la cosa di quanto più prossima al senso dell’umano che si possa immaginare. E per quello che ci riguarda, da qualunque latitudine la si voglia vedere, questa è una bella cosa.
Quanta rivoluzione è possibile rinvenire nella verità di quel corpo, in questo tempo poi, votato al culto dell’immagine, alla fredda “contabilizzazione” delle qualità e alle sirene digitali da consumarsi in fretta.
E quanto ci piace usare la disordinata fragilità di questo mito molto terreno per chiarire i contorni di una nostra precisa direttrice etica, l’unica, crediamo, che si possa essere legittimati a prendere quando si intende parlare di un’altra persona : quella che fa riferimento al peso sociale che hanno le scelte individuali, al fatto che dalla somma algebrica di tante singole scelte può generarsi un malessere che avvolge e coinvolge tutti.
E allora diciamo a quei moralisti che hanno dato sfogo a quest’appassionata e civile riflessione, cercate di indirizzare la vostra attenzione verso quelle persone, di qualsiasi ambito professionale e da qualsiasi livello d’importanza, che compiono delle scelte che hanno delle evidenti ricadute sociali e che di questo fatto ne fanno anche un gran vanto. Non verso chi ha pagato sulla sua pelle e nel suo privato gli effetti negativi delle proprie scelte. Lasciate in pace Maradona, che dell’unica cosa di cui porta vanto si riferisce alle gioie che ha saputo regalare in campo da calcio.
E noi, che amiamo la bellezza e siamo alla ricerca di bastoni per piantare il seme della rivoluzione, gli saremo per sempre grati.