Nei piccoli centri c’è sempre qualcuno che resiste all’indifferenza, che rende visibile la propria città. Parte con oggi un viaggio ideale e reale attraverso l’Italia, alla ricerca della bellezza nel bel mezzo dell’inferno.
Il petrolchimico di Siracusa era il grande sogno americano. Agli occhi dei siciliani si traduceva nel sospirato abbandono dell’immane fatica dei campi e delle scarse rese economiche, ma soprattutto – alla fine della seconda guerra mondiale – significava riprendere a vivere guardando ad un futuro pieno di nuove conquiste: lavoro sicuro, larghi consumi, benessere, serenità.
Tuttavia, 30 km di costa votati al mostro industriale, 16 punti di emissione, 191 pozzi di scarico, 18 milioni di m3 di fanghi tossici sommersi sono i numeri che servono non a tracciare le coordinate di un viaggio verso una vita migliore, ma a spiegare perché la zona tra Augusta, Priolo Gargallo e Melilli si chiami Triangolo della Morte. Scrisse Giuseppe Fava dalle colonne de “I Siciliani”: “«Tutto il grande sogno dell’industria siciliana è finito in quelle cento, duecento ciminiere metalliche che sprigionano fuochi velenosi, notte e giorno. Il mare di piombo senza più pesci, gli esseri umani che cominciavano a morire… ecologicamente fu un delitto, politicamente un bluff, storicamente una canagliata».
E’ contro questo delitto che combatte un pugno di cittadini augustani riunitisi intorno a Don Palmiro Prisutto, un uomo schivo, provato e coraggioso. Dal 2014, Don Palmiro legge alla fine della messa e ogni 28 del mese l’elenco dei “caduti” per inquinamento perché, come lui stesso sottolinea, non solo i morti per mafia hanno diritto ad essere ricordati. La sua ribellione, che si traduce in attivismo vero e proprio, gli è costata cara: la Chiesa, la famiglia che ha scelto per vocazione, ha tentato senza successo di rimuoverlo. Difeso dai suoi, da quella parte di società civile che non poteva accettare il silenzio, quest’uomo grande e semplice va avanti dando un senso tutto moderno al sacerdozio, rispondendo ai tanti Don Abbondio che popolano il territorio e agli interessi economici che la Chiesa, anche a Siracusa, dimostra di aver sempre troppo a cuore.
Augusta, grazie a lui e come accade sempre alle piccole città, da periferia diventa centro: il centro di un mondo che è inferno, il centro di una bellezza che vive di resistenza. E Don Palmiro, saldo al centro di questo inferno, rende visibile la sua città attraverso l’infinita bellezza del coraggio e dell’amore per la sua terra.